In attesa che Gentiloni e il governo prendano una dura posizione di condanna della scelta di Trump di bloccare l’accesso agli Stati Uniti dei cittadini di alcuni paesi a maggioranza musulmana, torniamo a occuparci di uno di questi paesi che — complice l’Arabia Saudita — si trova in un rapporto particolare con l’Italia. Stiamo parlando dello Yemen, che dal marzo del 2015 (si avvicinano i due anni di conflitto) è obiettivo dei bombardamenti operati da una coalizione guidata dall’Arabia Saudita (supportata anche da Stati Uniti e Regno Unito) e vittima di una durissima crisi umanitaria che sta colpendo i civili. L’obiettivo della coalizione è quello di sconfiggere i ribelli Houthi che avevano preso il controllo della capitale e di altre zone del paese sostenuti, secondo diverse fonti, dall’Iran.
Nei giorni scorsi Stephen O’Brien, sottosegretario Onu agli affari umanitari, ha ribadito le proprie preoccupazioni durante l’ultimo Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, prospettando un anno di povertà assoluta, fame e carestie per gli yemeniti. Uno scenario sul quale pesa notevolmente la scelta di istituire una no-fly zone che rende molto difficoltoso fornire aiuti ai civili. Esperti della Nazioni Unite hanno parlato apertamente di possibili crimini di guerra.
La popolazione dello Yemen, infatti, ammonta a 27 milioni di cittadini: oltre 14 milioni sono esposti a una condizione di insicurezza alimentare che causa la morte di un bambino di età inferiore ai cinque anni ogni dieci minuti, in circostanze evitabili. Sono 3,3 milioni gli sfollati interni.
L’Italia, come dicevamo all’inizio, gioca un ruolo da protagonista in queste dinamiche, dato che è dal nostro paese che sono partiti numerosi carichi di armamenti destinati all’Arabia Saudita, rispetto ai quali esiste il fondato sospetto che siano stati utilizzati esattamente in Yemen. Abbiamo sollevato e ricostruito più volte la vicenda che, oltre a porre forti interrogativi di carattere morale, potrebbe assumere anche dei tratti giudiziari, dato che l’export di armamenti (che in ogni caso deve essere autorizzato dal ministero degli Esteri, alla cui guida, fino a poco tempo fa, c’era Gentiloni) verso paesi impegnati in conflitti armati è vietato dalla legge 185/1990. A fronte di tutto ciò, le risposte della politica sono state parziali, hanno omesso, non hanno chiarito (così come non sono state affatto chiarite le ragioni per le quali continuiamo a vendere armi all’Egitto di Al Sisi — e Giulio Regeni). Addirittura, nei giorni scorsi, la rappresentanza italiana alle Nazioni Unite ha chiesto di cessare le ostilità di Yemen così da poter far fronte all’emergenza umanitaria: una nota stonatissima, eppure in totale armonia con le ambiguità che caratterizzano le relazioni speciali che l’Italia intrattiene con Riad.
Concludendo e sintetizzando: Donald Trump vieta l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini dello Yemen, un paese che sta soffrendo una gravissima crisi umanitaria anche a causa dei bombardamenti ad opera dell’Arabia Saudita, che si trova alla guida di una coalizione sostenuta dagli Stati Uniti stessi e rispetto al quale la chiusura di Trump non si applica.
Il governo Italiano sta mantenendo un profilo molto basso, scegliendo di non condannare la decisione di Trump. Inoltre ha permesso che bombe partite dall’Italia finissero in mani saudite e, quindi, a massacrare civili yemeniti.
Questo è il quadro. Noi ci schieriamo, ancora una volta, dalla parte dei civili e dalla parte di chi scappa dalla fame e dai massacri, contro qualsiasi forma di fascismo, di razzismo e di indigeribile ipocrisia.