Siamo andati a trovare Alice qualche settimana fa. Alice e la sua famiglia sono titolari dell’azienda Corradini di Amandola, nelle Marche. La loro bellissima azienda di agricoltura biologica è stata devastata dal terremoto prima e dalle nevicate poi.
Sfinita dalla mancanza di risposte, ha inviato questa lettera al Presidente della Regione Marche e a noi per conoscenza per renderla pubblica e volentieri le diamo voce.
Leggete le sue parole per capire come si vive oggi (e da mesi) nelle zone colpite dal sisma, quelle in cui “nessuno rimarrà solo”. Zone abitate da persone che sanno cosa significhi rimboccarci le maniche e lavorare duro, ma che da soli non possono farcela.
Presidente Ceriscioli,
chi scrive è un’allevatrice terremotata di Amandola, la mia famiglia ed io abbiamo la casa ed il laboratorio di macelleria aziendale inagibili dal 24 agosto: entrambi sono da demolire e ricostruire.
Dal 24 dicembre siamo entrati nel Mapre (modulo abitativo provvisorio rurale emergenziale), sorvolo sullo stupore, l’arrabbiatura ed il senso di offesa alla nostra dignità, quando ho scoperto che le “casette in legno” tanto sbandierate, per noi allevatori non esistono, ma che esistono ed esisteranno solo questi moduli, che sono dei grandi container col tetto spiovente.
Container chiaramente già usati e questo ci va benissimo, è giusto che le strutture possano essere riutilizzate quando serve, quello che non va bene è che queste strutture siano fatiscenti: buchi alle pareti, ammaccature su pareti e porte, porta esterna che non si chiude, giunture tra le pareti non sigillate da cui entra aria gelida, la guarnizione del piatto della doccia arrugginita.
Ho personalmente disinfettato tutto il modulo prima di entrarci e nel bagno incastrati tra i tubi ho trovato carta igienica e cotton fioc usati… Non credo voi avreste piacere a trovare queste sorprese… Soprattutto dopo più di due mesi di vita in camper, quando finalmente arriva “l’assistenza dello Stato”…
Ma non sorvolerò sulle ridicole risposte che ci sono state date dai rappresentanti della Regione a tutte le nostre domande di chiarimento: ad esempio dirci che per gli allevatori è stata fatta questa scelta perché era la risposta più immediata, quando tutti sappiamo che per costruire una qualsiasi casetta in legno d’emergenza non ci vogliono più di tre settimane e ciò che porta via tempo è l’identificazione, l’acquisizione e l’urbanizzazione delle aree da destinare a tali casette, problema che per gli allevatori non si pone dato che i moduli abitativi vengono sistemati direttamente in azienda, quindi non c’è nulla da individuare ed eventualmente espropriare. Si devono solo creare le piazzole, lavoro che richiede una settimana (parlo per esperienza).
Dirci che comunque le attività produttive avranno la priorità nella ricostruzione e per cui anche se viviamo in moduli che sembrano baracche, ci dovremo stare per meno tempo rispetto agli altri: ma cosa significa “meno tempo”? Che ci dovremo stare tre anni invece di sei? Sono baracche in cui nessuno vivrebbe nemmeno per sei mesi, affermare una cosa del genere è quantomeno irrispettoso della situazione in cui ci troviamo.
Vogliamo parlare del fatto che queste baracche funzionano esclusivamente con l’elettricità? In un’epoca in cui il risparmio energetico è fondamentale, non vengono minimamente considerate le possibilità date da piccoli impianti fotovoltaici e solare termico. Così come non viene preso in considerazione che nelle aree montante, con il maltempo, spesso l’elettricità salta, sa bene che ne abbiamo avuto la prova evidente di recente e le assicuro che passare la giornata in un modulo a 10 gradi (temperatura interna del modulo) e con la nebbia che si crea in tutte le stanze a causa dell’umidità, non è per niente piacevole.
Faccio presente che tutti quelli che vivono in montagna hanno ettari ed ettari di bosco e si riscaldano anche con la legna, nessuno ha pensato di prevedere questa possibilità nei moduli? Non avete consultato nessuno per sapere in quali realtà andavate ad intervenire?
Si, se non va il riscaldamento nel modulo c’è la nebbia… E oltre alla nebbia, inizia a piovere dal soffitto, ma non basta: tutte le pareti perimetrali dal pavimento e per i primi venti centimetri di altezza, sono ricoperte di condensa, si formano pozzanghere sul pavimento e questo sia che il riscaldamento vada tutto il giorno, sia che sia spento.
Immaginerà il perché, ma a scanso di equivoci glielo spiego io: le pareti del modulo sono in pannello sandwich, quindi rivestite in lamiera, dello spessore di 5 cm, la lamiera non traspira e lo sbalzo termico tra interno ed esterno crea condensa: non è possibile appoggiare nulla a terra, le lenzuola dei letti si inumidiscono, non si possono mettere mobili appoggiati alle pareti che danno sull’esterno ed anche i pavimenti, in questo periodo di maltempo “trasudano” umidità.
Per non parlare del fatto che con la neve tutte le grondaie si sono immediatamente staccate dal tetto. Sbaglio o nel bando era espressamente richiesto che fossero moduli in grado di resistere ai climi montani? Non si direbbe da quanto stiamo vivendo sulla nostra pelle…
Bene, ora ci tengo a specificare che i mobili del modulo sono stati consegnati intorno al 20 di gennaio, quindi un mese dopo il nostro ingresso, un mese in cui abbiamo lavato i piatti in bagno, abbiamo tenuto i vestiti ammucchiati su una sedia, abbiamo avuto solo lo stretto indispensabile solo perché siamo fortunati e la nostra casa, pur se da demolire è ancora in piedi, per cui siamo riusciti a tirare fuori qualche mobile da utilizzare.
Il modulo funziona con 6 kw di energia ed ancora non si sa chi deve provvedere a questo aumento di potenza, non si sa chi pagherà questo potenziamento e non si sa se ci sarà una convenzione per pagare le bollette. E la prego! Che non mi si dica (come già ci è stato risposto dalla Regione) “le bollette le paghi come le hai sempre pagate”, le nostre case non funzionavano totalmente con l’elettricità, i 6 kw ci sono imposti da scelte calate dall’alto; ben volentieri pagherò il consumo di energia medio della mia vecchia abitazione, ma ciò che è in più, ciò che è imposto, non si può pretendere che lo paghi io, perché se ci date una baracca senza isolamento termico ed il condizionatore deve stare acceso 24 ore su 24 per non morire di freddo e umidità, non è stata una nostra libera scelta!
Non è tutto qui, ma queste sono le questioni principali rispetto al modulo in cui ci fate vivere.
Ora vorrei parlare delle attività produttive.
La nostra è un’azienda agricola a coltivazione biologica, coltiviamo circa 50 ettari di terra ed alleviamo circa 60 bovini e 20 suini, lavoriamo la carne in azienda e consegnamo confezioni famiglia direttamente a domicilio in tutte le Marche, a Roma, in Lombardia, in Veneto, in Trentino ed Emilia Romagna.
La nostra attuale stalla è stata costruita nel 2005 da un’azienda leader in costruzioni in legno antisismiche, per cui non ha avuto problemi con il terremoto, mentre il laboratorio di macelleria è inagibile. Ci sono segnalazioni da settembre in poi di vari enti (ispettorato agrario, Asur, guardia forestale, Comune) che evidenziano la necessità di un modulo lavorativo ad uso macelleria e come sicuramente lei sa, di questi moduli nemmeno l’ombra.
Addirittura, la scorsa settimana, ci avete chiesto di firmare una rinuncia a tale richiesta, in quanto questi moduli sono molto costosi e la Regione non ne dispone e mai ne disporrà.
Bene, noi siamo fortunati, ci siamo da subito organizzati per conto nostro e lavoriamo la carne nel laboratorio di macelleria interno al mattatoio presso il quale ci serviamo, ma non tutti hanno questa fortuna. Ma se non avessimo avuto questa possibilità? Se non avessimo avuto questa possibilità, un’azienda che non ha avuto problemi al comparto produttivo, un’azienda a conduzione familiare, gestita da giovani, che non ha visto calare la richiesta dei propri prodotti (anzi proprio grazie alla solidarietà che si è scatenata in seguito al sisma, ha visto aumentare la richiesta) sarebbe stata costretta a fermarsi perché la Regione, lo Stato, non è in grado di fornire quel supporto che viene invece sbandierato dai mass media e da voi stessi negli incontri pubblici.
Se un’azienda si ferma, chiude. Con il vostro disinteresse state costringendo un intero settore alla chiusura.
Ultimo, ma non meno importante: il decreto per la ricostruzione delle attività produttive.
Io non sono una tecnica, non è mio compito scrivere ed interpretare i decreti, ma l’abbiamo sottoposto a tecnici di nostra fiducia e tutti concordano nel dire che a conti fatti, verranno stanziati 600 €/mq circa, gli stessi tecnici concordano nel dire che per una costruzione antisismica ci vuole circa il doppio. Mi sfugge qualcosa? Sono io che non capisco? Sono i tecnici che hanno male interpretato? Perché se davvero la cifra è quella vorrei sapere quale ricostruzione pensate di fare.
Chi in questi territori ci vive e lavora sul serio (e non ha nessuna intenzione di andarsene) vuole avere la possibilità di vivere e lavorare al sicuro, di ricostruire con normative certe e tecnologie adeguate, non ci interessano contentini e prese in giro, non ci interessano gli auguri di buone feste e le prediche sulla comunità che deve restare unita, quando avete dimostrato chiaramente di non conoscerla minimamente questa comunità.
Chi davvero conosce questa comunità sono le amministrazioni locali, i tecnici che tutti i giorni fate trottare per tutto il territorio con incarichi ridicoli, i volontari che si sono dati da fare e tutte quelle persone che sul territorio ci lavorano, loro sono quelli che svolgono il loro compito davvero accanto a noi!
Sarei ben felice di averla ospite nella nostra azienda, lei e quanti desiderano rendersi conto della realtà che stanno vivendo i suoi conterranei, potrete vedere con i vostri occhi tutto ciò di cui le ho parlato.
Ci tengo inoltre ad informarla che questa lettera sarà resa pubblica, così come eventuali risposte.
Saluti,
Alice Corradini