[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1491467079672{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Da queste pagine abbiamo già avuto modo di affrontare, in più occasioni, l’accordo tra Italia e Libia, un accordo che replica accordi fallimentari (in tutti i sensi, ma soprattutto dal punto di vista umanitario) del passato, siglati dalla destra Forzista e Leghista, e che si pone l’obiettivo di bloccare in Libia i migranti, investendo sul controllo militare dei confini, su una retorica securitaria (i migranti, nell’accordo, vengono chiamati “clandestini”) e sulla «predisposizione dei campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclusivo controllo del Ministero dell’Interno libico, in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine».
La Libia — ricordiamolo — non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra che disciplina lo status di rifugiato e, di conseguenza, può farsi davvero pochi problemi nel dichiarare un migrante “clandestino”, cosa che il nostro Paese non dovrebbe poter fare con molta facilità, dovendo rispettare sia la citata Convenzione che quanto previsto dalla nostra Costituzione (oltre che per ragioni di ecologia linguistica).
Le categorie, perciò, non coincidono tra Italia e Libia, e nell’accordo l’Italia ha comunque scelto la categoria che non garantisce in alcun modo i rifugiati, etichettandoli come “clandestini” in maniera non conforme al diritto internazionale.
Ma non ci siamo limitati a questo, nell’accordo. Come anticipato, abbiamo delegato al governo libico l’esclusivo controllo dei campi di accoglienza e quindi delle procedure di rimpatrio, in un momento in cui «nessuno controlla niente in Libia. Non siamo ancora nella fase di controllare il mercato del contrabbando di persone. Ci auguriamo che, a un certo momento, sarà possibile entrare nei campi di detenzione con le organizzazioni internazionali e alleviare le sofferenze delle persone che vengono torturate, per farli uscire dalle mani delle milizie che stanno controllando questo mercato nero. Ma siamo lontani da questo». Queste parole sono state pronunciate nelle scorse ore da Mario Giro, Vice Ministro degli Esteri, in un’intervista al Guardian.
Ci auguriamo che queste parole giungano al Ministro Minniti e che quest’ultimo ascolti non noi, ma perlomeno un componente del suo stesso governo, e possa quindi ritornare su un accordo che non garantisce in alcun modo l’effettivo esercizio del diritto d’asilo e che espone i rifugiati a ulteriori sofferenze, prevedendo da subito il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali e l’apertura di corridoi umanitari. Lo speriamo, ma non ci confidiamo troppo, anzi.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]