Chi ha paura del Dalai Lama

Maglie più strette per l'ingresso del Dalai Lama nel nostro paese e di tanti altri tibetani in esilio in India. E' questo il risultato del cambiamento di politica voluto dal governo italiano nei confronti dei cittadini tibetani

[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1500906854804{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Maglie più stret­te per l’in­gres­so del Dalai Lama nel nostro pae­se e di tan­ti altri tibe­ta­ni in esi­lio in India. E’ que­sto il risul­ta­to del cam­bia­men­to di poli­ti­ca volu­to dal gover­no ita­lia­no nei con­fron­ti dei cit­ta­di­ni tibe­ta­ni costret­ti alla fuga dal pro­prio pae­se a cau­sa dell’occupazione cine­se, e ora ospi­ta­ti in India. Si trat­ta di cir­ca 150mila per­so­ne cui il gover­no india­no rico­no­sce il cosid­det­to “Iden­ti­fy cer­ti­fi­ca­te”, un docu­men­to di iden­ti­fi­ca­zio­ne col qua­le poter viag­gia­re libe­ra­men­te in nume­ro­si pae­si, dal­l’a­rea Schen­gen al nord America.

Per­so­ne che vivo­no lon­ta­ne dal­le pro­prie ter­re non per scel­ta, ma per­ché costret­te. Rifu­gia­ti nel­la loro con­ce­zio­ne più stret­ta. Cir­ca 200 di que­sti ogni anno fan­no visi­ta all’I­ta­lia, per moti­vi reli­gio­si e cul­tu­ra­li, o anche solo per moti­vi fami­lia­ri e affet­ti­vi. Una poli­ti­ca di aper­tu­ra che ha per­mes­so ai pro­ta­go­ni­sti del­la dia­spo­ra tibe­ta­na, mona­ci e lai­ci, di incon­tra­re i bud­d­hi­sti del nostro pae­se e di altri pae­si per con­fe­ren­ze e incon­tri reli­gio­si. Lo stes­so Dalai Lama, insi­gni­to del Pre­mio Nobel per la pace nel 1989 e cit­ta­di­no ono­ra­rio di nume­ro­se e impor­tan­ti cit­tà ita­lia­ne (tra cui Roma, Mila­no, Paler­mo, pado­va, Tori­no, Firen­ze, Vene­zia), ha bene­fi­cia­to di que­sta oppor­tu­ni­tà nel suo instan­ca­bi­le sfor­zo di dif­fu­sio­ne del­la cul­tu­ra del­la non­vio­len­za e del meto­do del dia­lo­go per la riso­lu­zio­ne dei conflitti.

Appa­ren­te­men­te sen­za alcu­na ragio­ne, il gover­no ha cam­bia­to idea. La comu­ni­tà tibe­ta­na in Ita­lia, insie­me alla “Asso­cia­zio­ne don­ne tibe­ta­ne”, alla “Asso­cia­zio­ne Ita­lia-Tibet”, alla “Unio­ne Bud­d­hi­sta Ita­lia­na” e a nume­ro­se altre asso­cia­zio­ni e isti­tu­ti, ha denun­cia­to, for­te del­la con­fer­ma dell’ambasciata di Delhi e del con­so­la­to di Mum­bai, che l’I­ta­lia ha scel­to di non rico­no­sce­re più l’Identity cer­ti­fi­ca­te qua­le docu­men­to di viag­gio valido.

Le ragio­ni, come dice­va­mo, appa­io­no igno­te, anche se c’è chi ipo­tiz­za che sia­no da ricer­car­si in una nuo­va dimen­sio­ne del­le rela­zio­ni tra Ita­lia e Cina.

Per que­ste ragio­ni abbia­mo inter­ro­ga­to il mini­stro Alfa­no, denun­cian­do i fat­ti e chie­den­do per qua­li moti­vi il gover­no ita­lia­no abbia deci­so di non rico­no­sce­re più vali­di­tà all’Identity Cer­ti­fi­ca­te, nono­stan­te l’universalmente accer­ta­ta con­di­zio­ne di per­so­ne per­se­gui­ta­te che con­trad­di­stin­gue i pro­fu­ghi tibe­ta­ni. Se, inol­tre, sia­no avve­nu­ti cam­bia­men­ti nel­le rela­zio­ni inter­na­zio­na­li tra il nostro pae­se e, in par­ti­co­la­re, Cina e India e, nel caso, di qua­le natu­ra e se non riten­ga oppor­tu­no garan­ti­re a per­so­ne alle qua­li l’Italia potreb­be mol­to pro­ba­bil­men­te rico­no­sce­re lo sta­tus di rifu­gia­to la pos­si­bi­li­tà di doman­da­re asi­lo nel nostro pae­se in manie­ra sicu­ra.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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