[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1502462956193{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Il 5 agosto lo annunciavano in pompa magna: «Come avevamo promesso, e come nessuno credeva, oggi la la nave degli identitari “C‑Star” è arrivata nella SAR Zone della Libia per cominciare la fase operativa della missione Defend Europe». La missione Defend Europe consisterebbe nel difendere la nostra identità (per questo si definiscono identitari). E come? E come pensate che vogliano difenderla, se non bloccando i migranti in mare, ostacolando le operazioni di soccorso delle ONG e facilitando i respingimenti verso la Libia? Se fossero in camicia verde sarebbero guardie padane (ve le ricordate le ronde padane?), ma i padani in mezzo al Mediterraneo non ci stanno. Potrebbero essere un’emanazione minnitiana, i minnitions (per codice, non per decreto), ma no, gli identitari si definiscono apartitici — né destra, né sinistra: dove l’abbiamo già sentita?
Difendono la nostra cultura e sono agguerritissimi. Hanno fatto un crowdfunding per finanziare la missione a bordo della nave C‑star e hanno una grande idea: la remigrazione (giuro!).
La C‑star, dopo varie peripezie nel Mediterraneo, è riuscita a raggiungere la zona di ricerca e salvataggio (SAR) libica. E ci è rimasta. La nave ha dichiarato uno stato di avaria questa notte, dopo (pare) essere stata ferma alcuni giorni, a mollo. «Quattro giorni che siete fermi. Se avete bisogno di aiuto ditecelo, siamo una ONG che fa salvataggi e abbiamo un rimorchiatore», ha twittato ieri notte Oscar Camps, fondatore di Proactiva Open Arms.
Questa mattina è arrivata la richiesta di soccorso. Il coordinamento di Roma della Guardia costiera ha dato mandato a un’altra ONG, la Sea-Eye, di dirigersi verso gli identitari.
Ma quindi sono o non sono entrati nella SAR zone libica, come avevano annunciato? Perché guardate che se sono entrati nella zona SAR libica ci deve andare la guardia costiera libica a soccorrerli: li paghiamo e addestriamo per quello, che diamine. E deve caricarli a bordo, non trasbordarli su altre navi, arrestarli per immigrazione clandestina, affondare il natante. Tanti piccioni con un motore in avaria.
Scherzi e codici a parte, la tragicomica avventura nazionalista della C‑Star è rivelatrice: di fronte ai salvataggi in mare e alle morti non si improvvisa e non si scherza. Non si fanno “atti dimostrativi”, come li chiamano loro, che rischiamo di intralciare i soccorsi, proprio come è accaduto ora. Si salva la gente e basta. E per fortuna che esiste una catena di comando e una solidarietà umana (non nazionalista: umana) che non guarda in faccia alle ideologie e al colore della pelle ma, semplicemente, si prende cura degli altri.
Questa mattina ho letto una frase su una targa in montagna, una preghiera. Diceva più o meno così: «aiutami a fare il bene difficile e a combattere il male facile». Non mi ritengo un credente in senso stretto ma credo a una cosa, sicuramente: che dovrebbe essere anche questa la nostra cultura da difendere. State bene, identitari della C‑Star: vi auguriamo di fare presto approdo al porto sicuro più vicino.
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