Non è un furto qualsiasi. No. I ladri d’agosto non si intrufolano negli appartamenti per rubare carte e hard disk e Paolo Borrometi, che si è ritrovato con la casa “forzata” in sua assenza, è un giornalista che da anni si occupa, con serietà e impegno, dei rapporti tra mafia e politica. Proprio per questo si è dovuto trasferire a Roma: a causa delle minacce ricevute ad aprile il Tribunale di Ragusa ha condannato a un anno e otto mesi di reclusione il pregiudicato vittoriese Giambattista Ventura. Borrometi vive sotto protezione da anni; è uno di quelli che le mafie non amano particolarmente.
Eppure questo furto è anche e soprattutto un segnale che non ci si può permettere di non cogliere: riuscire ad appropriarsi di documenti appartenenti a una persona sotto scorta significa evidentemente fargli sentire addosso che “loro” sono in grado di scavalcare qualsiasi protezione. Borrometi ha avuto la dolorosa conferma di essere avvicinabile, nonostante tutto. Ancora una volta la di là della nostra scontata solidarietà forse conviene anche chiedere con forza che i cronisti che decidono di esporsi contro la criminalità organizzata (Borrometi è collaboratore dell’AGI e direttore del sito La Spia) non siano lasciati soli. La solidarietà si esercita tutti i giorni, mica solo dopo gli eventi infausti o i lutti.
E forse sarebbe anche il caso di capire come possa succedere che l’abitazione di una persona inserita in un programma di protezione possa essere così facilmente violata. E anche su questo il ministro forse ci deve dare qualche spiegazione.
Tu, Paolo, intanto scrivi. Scrivi.