[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1505742179025{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]La lunga discussione di sabato scorso a Milano sul Manifesto di Possibile è stata per me un momento di grande soddisfazione anche come costituzionalista. È un bel modo di festeggiare gli ormai prossimi settant’anni della nostra Costituzione, in modo davvero non meramente rituale (come temo invece che accadrà in molte sedi). È un modo coerente con l’impegno che Possibile ha manifestato (una parola che torna) lo scorso anno, con la campagna per il No al referendum costituzionale e uno stile costituzionale, sempre seguito nei difficili passaggi di questa legislatura da Pippo Civati, che certamente inorgoglisce un costituzionalista che ha partecipato a questo impegno.
La nostra Costituzione è stata citata in quasi tutti gli interventi, a partire da quello di Stefano Catone sulla pace, considerata, nella nostra Carta fondamentale come nei principali Trattati istitutivi di organizzazioni internazionali di cui facciamo parte, l’architrave per il godimento dei diritti delle persone, anche e soprattutto di quelle che nel proprio Paese non possono goderne, in condizioni di uguaglianza.
Trovo molto bello e coerente che il Manifesto di un partito politico di sinistra si apra con un Capitolo dedicato alla pace «come identità e garanzia dei diritti fondamentali», se è vero – come scriveva Bobbio (Destra e Sinistra, Donzelli, 1994) – che «il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in una società assumono di fronte all’ideale dell’eguaglianza, che è, insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi».
I continui riferimenti alla Costituzione, in un continuum tra la prima e la seconda parte, a dimostrazione che, anche grazie al nostro voto dello scorso 4 dicembre, non si tratta di una Costituzione spezzata, hanno messo in evidenza quanto diceva Calamandrei, nel noto discorso agli studenti milanesi, per cui la Costituzione ha bisogno della politica per muoversi, come una macchina della benzina.
Il Manifesto di Possibile è energia (pulita) per la nostra Costituzione. Tenendo come filo conduttore quello della democrazia, che in Italia è inscindibile dal carattere repubblicano (come già evidenziato proprio con il Patto repubblicano) e significa partecipazione attiva e continuativa di tutte le persone alla vita politica (senza inesistenti distinzioni tra “politici” e “società civile”), e quello dell’uguaglianza, che della partecipazione democratica costituisce un presupposto, ogni argomento è affrontato non solo nel rispetto della Costituzione (cosa purtroppo per nulla scontata soprattutto negli ultimi anni) ma per valorizzarla, proprio con particolare riferimento a quella sua prima parte che spesso è stata imbalsamata (negandosene la modifica esplicita per sentirsi più liberi di stravolgere la seconda) e messa in un angolo.
A questo rispondono le proposte sulla progressività fiscale, ormai sostanzialmente elusa, attraverso aliquote ravvicinate e alterate dalla combinazione con gli sgravi, e che invece rappresenta il primo criterio di redistribuzione delle risorse e quindi di realizzazione di uno Stato sociale attraverso la prestazione dei servizi. Ugualmente si dica per la questione del lavoro, che è fondamento della cittadinanza, secondo quanto prevede l’art. 1, e rappresenta un diritto fondamentale (che la Repubblica deve «rendere effettivo»), rispetto al quale sono indicate precise garanzie, come quella del salario minimo, della formazione e l’elevazione professionale, del tempo da dedicare al lavoro, della tutela della donna lavoratrice, dell’assistenza degli inabili al lavoro.
Potremmo proseguire capitolo per capitolo, a partire da quello sulla scuola, l’Università e la ricerca, ad esempio, sempre più bistrattate, vissute – come la cultura in generale – con fastidio, mentre i professori, sono dileggiati come gufi e frenatori. «La scuola è aperta a tutti» secondo la Costituzione e questo è un principio che immediatamente vuole creare una comunità e non certo una “scuola del preside-manager”, e che si compie con l’istruzione pubblica (quella privata essendo riconosciuta ma senza oneri per lo Stato) e con la possibilità dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i più elevati gradi dell’istruzione grazie a borse di studio.
Ecco, di tutto questo e di molto altro (come la sanità, l’economia circolare, l’energia non fossile, la cura dei più deboli e degli animali, per esemplificare ancora) parla il Manifesto, sempre Costituzione alla mano.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]