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Venerdì, con una delegazione di Possibile e Ottavio Navarra, abbiamo partecipato alla manifestazione indetta dai lavoratori dei cantieri aperti sulla Palermo-Agrigento. Nonostante le rassicurazioni dell’Anas sulla volontà di aumentare la produttività per rispettare i tempi di consegna dell’opera, la società contraente, la Bolognetta Scpa, ha comunicato ai sindacati la riduzione del 50% delle maestranze e la sospensione dei lavori nei tratti oggetto dell’appalto. Ora 75 lavoratori rischiano di rimanere a casa e l’opera rischia di diventare l’ennesima “incompiuta” siciliana.
Tutto iniziava nel lontano 2001, quando la delibera del CIPE n. 121 inseriva nelle previsioni programmatiche la realizzazione di infrastrutture strategiche riguardanti gli ammodernamenti delle strade statali di gran collegamento tra le città di Palermo, Agrigento e Caltanissetta. Dopo qualche anno, in data 13/05/2004, Il consiglio di amministrazione dell’Anas Spa approvava il progetto preliminare, lo studio di impatto ambientale dell’itinerario Palermo-Agrigento (2,239 miliardi di euro) e il progetto definitivo con lo studio di impatto ambientale dell’itinerario Agrigento-Caltanissetta (594,5 milioni di euro).
Annunciata come imminente la partenza dei cantieri nel 2011, il 28 Giugno 2013 prendevano il via. La previsione per la fine dei lavori era il 2016, quando finalmente, secondo l’Anas, sarebbero dovuti essere consegnati i primi 34 chilometri della “nuova” Palermo-Agrigento — incluso otto chilometri a quattro corsie autostradali e l’esclusione dei pericolosi svincoli “a raso”.
La si potrebbe chiamare la storia infinita di quei 127 chilometri delle statali 121 “catanese” e 189 “della valle del Platani”, che per anni hanno “diviso” più che unire Palermo ed Agrigento. Strada trafficata e arteria di collegamento fondamentale che si è anche conquistata sul campo, grazie alla sua pericolosità, l’appellativo di “strada della morte”.
Ad oggi non solo le modalità e i tempi di esecuzione e consegna dei lavori risultano dilatati e senza certezze, ma si assiste ad un inspiegabile rallentamento ulteriore delle attività con una ricaduta negativa sui territori interessati che è almeno quadrupla: mobilità, sviluppo economico e diritto allo studio, livelli occupazionali e sicurezza. In primo luogo, sul piano della mobilità il tempo di percorrenza per soli 127 km è di oltre 3 ore, condannando all’isolamento geografico ed economico l’intera provincia dell’agrigentino e dell’entroterra palermitano. Inoltre, come segnalavano gli stessi lavoratori, la situazione arreca anche grave nocumento ai tanti ragazzi e giovani pendolari, che frequentano le scuole e le università di Palermo, ledendone indirettamente il diritto allo studio. In terzo luogo, sul piano occupazionale, inspiegabile è la volontà di dimezzare l’impiego di forza lavoro per un’opera che rischia di trasformarsi nella “Salerno-Reggio Calabria” di Sicilia, per i tempi biblici di consegna. E’ questa la storia di Antonino (e degli altri lavoratori manifestanti), il quale, indicando la propria pettorina del sindacato, ci ricorda: “il lavoro è dignità ed è un diritto sancito dalla Costituzione”. Ultimo (ma non per importanza): la presenza di ben 6 cantieri aperti e di altrettanti semafori e strettoie, rende la strada in questione una vera “gincana della morte”.
Nonostante i lavori da fare sarebbero ancora tanti — e i rispettivi finanziamenti sufficienti — a piangere carenze progettuali e programmatiche delle classi dirigenti sono sempre i lavoratori e le comunità che avrebbero dovuto beneficiarne. Lo stesso Antonino si chiede (e noi con lui) che senso abbia aprire sei cantieri, senza averne ancora completato neanche uno. Non ci resta che rimanere al fianco di questi lavoratori e comunità, nella speranza che molti di quelli che oggi ce la promettono “bellissima” o “gentile”, un giorno, si assumano la responsabilità di averla già violentata e saccheggiata. A proposito di bellezza, il non-finito di Michelangelo sembra avere sin troppi seguaci tra i politici di casa nostra…
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