I cima alla home del sito di iovotofuorisede campeggia un post sconfortante e sconfortato, che inizia così:
Sei uno studente fuori sede o un lavoratore che lavora in un Comune diverso da quello di residenza, ed in questo momento ti stai chiedendo: “Posso votare nel Comune dove mi trovo domiciliato piuttosto che in quello dove ho la residenza per le elezioni del 4 marzo 2018?”
La risposta alla tua domanda è NO, purtroppo l’unica possibilità per votare è tornare nel tuo Comune dove risiedi”.
Non appena la campagna elettorale si è affacciata alla cronaca quotidiana e la data delle elezioni è apparsa all’orizzonte, sugli account social dei partiti e dei comitati studenteschi, via mail e anche direttamente sui numeri dei referenti, salvati in memoria dopo i referendum sulle trivellazioni e quello costituzionale, sono arrivate richieste per essere nominati rappresentanti di lista, in modo da poter votare nel comune dove si studia o lavora, invece che in quello di residenza.
Solo che questa volta non si può, a differenza degli ultimi referendum, in cui tanti (tra cui molti comitati di Possibile) si sono messi all’opera per permettere agli studenti fuorisede e ai tantissimi lavoratori lontani dalla propria residenza di votare, sfruttando la possibilità di essere nominati rappresentanti di lista in tutta Italia, visto che il collegio è nazionale e non, come alle politiche, su base più o meno provinciale.
Sono numeri pesantissimi, quelli di cui si parla: circa 1.500.000 lavoratori “pendolari di lungo raggio”, secondo Bankitalia. E 300.000 studenti che hanno il domicilio in una regione diversa da quella di residenza: il 77% delle ragazze e dei ragazzi lucani, il 78% dei valdostani, il 68% dei molisani, il 53% di trentini e altoatesini, il 41% dei calabresi, il 37% dei pugliesi, e il 32% dei siciliani, secondo i dati del Miur del 2017.
Niente form online, quindi, questa volta. Niente file excel, moduli, deleghe, telefonate agli uffici elettorali, autenticazioni e ore piccole per far votare migliaia di persone in tutta Italia (se leggete, compagni di avventura, sapete di cosa si parla). La legge non prevede questa possibilità. E non prevede nemmeno, come chiedeva un emendamento presentato in sede di discussione della Legge Elettorale, l’“early voting”, la possibilità cioè di votare, nei giorni che precedono le elezioni, via posta o in un seggio allestito nel comune di domicilio.
L’emendamento è stato bocciato. Per evitare “rischi di brogli e manomissioni”, spiegava il Viminale, evidentemente ignaro o disinteressato del fatto che questo strumento esiste in tantissime democrazie: dagli Stati Uniti all’Australia, passando per Germania e Norvegia, dove è stato utilizzato alle elezioni politiche del 2009 da 707.000 elettori su 2.682.000.
Chi studia e lavora in Italia, ma non nel proprio comune di residenza, continuerà a non poter votare. Un’astensione forzata, che stride soprattutto in un momento in cui da ogni parte si sentono preoccupate valutazioni politiche sui dati dell’astensione vera e propria, quella che è di per sé una scelta, un segnale: “Partito dell’astensione”, lo chiamano, quello di chi per disinteresse, protesta o sfiducia non vota, nemmeno scheda bianca.
Certo, sono previste delle agevolazioni sui viaggi per tornare a votare nel luogo di residenza. E ci saranno sicuramente cittadini che (magari perdendo un giorno di lezione all’università, o chiedendo un giorno di ferie) prenderanno un treno o un aereo per mettere un segno sulla scheda elettorale. Viaggi spesso lunghi, su quelle tratte pendolari che molti conoscono e percorrono in condizioni sovente scoraggianti (chi scrive ha una lunga esperienza di regionali sovraffollati in partenza dal famigerato binario 20bis di Termini, direzione Campobasso).
In questo modo, i fuorisede sono considerati alla stregua di cittadini di terza categoria, specie se si considera che finalmente nell’ultima legge elettorale si è trovata — almeno — una soluzione per gli Italiani all’estero, compresi quelli temporaneamente fuori dall’Italia per ragioni di lavoro o studio, come gli Erasmus.
C’è ancora una possibilità. ll 12 ottobre 2017 era stato accolto un ordine del giorno per assicurare il voto ai fuorisede e il Governo si era assunto l’impegno di intervenire con urgenza attraverso un decreto per mettere in atto misure che lo consentissero. I tempi sono naturalmente strettissimi, ma è una questione di volontà politica.
Per questo invitiamo a firmare l’appello #iovotofuorisede su change.org, che a oggi ha già circa 5.000 aderenti. Per applicare efficacemente il principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione, secondo cui “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Francesca Druetti
Marco Vassalotti (Comitato Agorà 7 luglio di Reggio Emilia)