[vc_row][vc_column][vc_column_text]Da giorni il dibattito elettorale è larghe intese-centrico. Nel senso che è al centro del confronto, ma anche nel senso del centro inteso come posizione politica: la grancassa mediatica indica difatti l’approdo a un neo-centrismo, in cui gli ex principali contendenti, Forza Italia e Pd, a trazione renzian-gentiloniana-
In questo clima da nostalgia democristiana, gli sponsor delle larghe intese proliferano. Non si parla d’altro, omettendo che la larghezza è nella parole, nelle espressioni, ma manca nei numeri. Perché l’ipotetica maggioranza delle larghe intese è ristretta, esigua, risicata. Le intese infeltrite, al massimo, o una maggioranza sexy, per citare Romano Prodi (del 2006), tornato dirompente sulla scena politica. La narrazione, secondo cui l’esempio tedesco indica la via maestra da seguire il 5 marzo presenta un vizio di forma. O meglio: un problema numerico. La Große Koalition è ‘grossa’ anche nella solidità della maggioranza: su 709 seggi, l’alleanza tra Cdu/Csu e Spd arriva a 399 deputati, 44 in più rispetto alla soglia minima richiesta per supportare l’azione di governo. Senza dimenticare che i socialdemocratici hanno seguito un percorso di consultazione interna, dimostrando disponibilità di ascolto della base. Nel caso italiano, la situazione è diversa: la conta è nell’ordine di una manciata di (ipotetici) parlamentari decisivi, probabili “responsabili” last minute, per dare fiducia a un governo non meglio precisato, in nome di una stabilità senza direzione né tantomeno una visione.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]