Mohamed Nour Dachan è presidente onorario dell’Unione delle Comunità Islamiche di Italia e ieri a Genova, al funerale delle vittime del crollo del ponte Morandi, si è reso protagonista di uno dei più bei discorsi ascoltati in questi giorni di dolore, polemiche e livore.
Ha parlato di ponti, Dachan. Ponti che, fisici o metaforici che siano, quando crollano portano con se’ grandi dolori. Sono due punti che non si toccano più che portano via la vita di tante persone, segnando una perdita grave per l’umanità intera.
E ha parlato di ponti che uniscono, quelli che, dell’umanità intera, sono la base. Ha iniziato parlando “nel nome di un unico Dio” e ha concluso con l’augurio che “il Signore protegga l’Italia e gli Italiani”.
Niente distinzioni, niente “noi” e “voi”, ma un’unica umanità.
Conosco personalmente il Presidente Dachan e non è retorica, la sua.
Lo conobbi perché fu la prima autorità religiosa ad accogliere l’appello di Max Fanelli per un confronto tra laici e religiosi sul tema del fine vita. Fu il primo religioso a fotografarsi con la cartolina a sostegno della campagna Io Sto Con Max, per l’autodeterminazione dei malati terminali.
Dachan è un autentico uomo di pace, un vero costruttore di ponti. Non c’è festività cristiana in cui non mi arrivino i suoi auguri (l’ultimo messaggio mi è arrivato pochi giorni fa per Ferragosto). Non c’è inizio e fine Ramadan in cui non mi arrivi il suo invito a partecipare alle celebrazioni. Non è educazione. Partecipare al giorno di festa è un’occasione importante per unire, per rendersi partecipi gli uni della felicità degli altri. Per condividere la gioia e abbattere le barriere delle differenze. Occasioni che Dachan coltiva quotidianamente.
Qualche mese fa mi ha guidato nella Moschea di Ancona, un venerdì, giorno di preghiera e di lezioni.
Quella Moschea che ci fa tanto paura, dove immaginiamo ovunque nascondigli di terroristi pronti a studiare piani di sterminio della civiltà occidentale, non solo è luogo di preghiera, ma è anche luogo di costruzione di pace. Si dibatte, nella Moschea guidata da Dachan. Si dibatte tra musulmani che provengono da Paesi diversi che a loro volta hanno esperienze, caratteri e visioni diverse. Si dibatte e si modera.
E si insegna la cittadinanza, nella moschea. C’è un avvocato che offre la sua consulenza, per spiegare le leggi Italiane, medici che insegnano le norme sanitarie, docenti che insegnano la lingua italiana e materie scolastiche. E ci si confronta con persone esterne alla loro comunità. Come nel mio caso. Mi hanno accolta con molta ospitalità, non mi hanno chiesto di indossare il velo, mi hanno fatto sentire a casa. Così come, con altrettanto rispetto e cordialità, ho visto presentarsi e essere accolta la Digos, che puntualmente deve controllare che non ci siano pericoli per la sicurezza del Paese.
Nella Moschea abbiamo parlato di politica, di lavoro, di integrazione. E di pace, la parola usata di più. C’erano persone scappate da Gaza, dalla guerra nei Balcani, dalla Siria, dalla Libia. Parlare di pace con chi è scappato dalla guerra assume tutto un altro significato e importanza. La pace è una conquista per la sopravvivenza, non solo un principio. E’ qualcosa di maledettamente concreto che va alimentato gesto dopo gesto, a partire dalle parole che si usano e non deve mai essere data per scontata. Questo mi hanno insegnato.
Ma Dachan è anche costruttore di pace nella sua famiglia e nella sua terra, la Siria.
La figlia, Asmae, è una bravissima giornalista, ha scritto ottimi reportage dalla Siria su Panorama e si può ascoltare in giro in moltissime conferenze. E’ grazie al suo blog che ho conosciuto il dramma Siriano. Era il secondo anno di guerra, nessuno ne parlava. Cominciai per caso a leggere il suo Diario di Siria, in cui aveva deciso di raccontare la guerra sotto un altro punto di vista, di raccontarla guardandola con gli occhi dei bambini. Non potevo credere che nessuno si accorgesse di quello che stava succedendo, che nessuno ne parlasse. Ero arrivata persino a credere che fossero invenzioni sul web, quando scoprii che Asmae viveva a pochi chilometri da casa mia e ebbi occasione di incontrarla e ascoltare dalla sua voce i suoi terribili racconti. Non solo era tutto vero, ma la realtà era ancora peggiore di quanto non si potesse pubblicare. Poi con il tempo anche i giornali accorsero della Siria e in tanti iniziammo a chiederci come poter dare una mano.
E così conobbi ONSUR, Campagna Mondiale di Sostegno al Popolo Siriano. Il Presidente, è Amer Dachan, fratello di Asmae, che periodicamente porta personalmente aiuti in Siria.
Grazie a Possibile avviammo una raccolta fondi e nel giro di pochissimo tempo riuscimmo ad acquistare un’ambulanza e centinaia di pacchi alimentari che vennero consegnati a stretto giro direttamente in Siria
Con Amer ci confrontiamo spesso sulla situazione politica e sulla necessità di collaborare insieme per la costruzione di un Paese più accogliente e giusto e ci siamo ripromessi, quando le condizioni lo consentiranno, di partire insieme per portare aiuti al confine con la Siria.
Asmae continua a raccontare e a documentare il dramma siriano affinchè, non cali mai il silenzio.
Dachan padre non manca mai a nessuna occasione pubblica o privata in cui si possono tessere fili di fratellanza.
Per costruire quei ponti che quando crollano, metaforici o reali che siano, portano con se’ grandi dolori e perdite. Quei ponti che stanno crollando, ma che che sono alla base della nostra umanità.