[vc_row][vc_column][vc_column_text]Nel 2017 si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58mila individui. Sono i dati dell’ISTAT. È in primo luogo a loro, a queste 5 milioni di persone, che dovremmo guardare quando parliamo di reddito minimo (o di inclusione, o di cittadinanza). Guardarle negli occhi. E dire loro che la ragione può prevalere: sulle chiacchiere, sulle balle della propaganda.
In campagna elettorale sono stati presi impegni non sostenibili. Per assegnare il reddito di cittadinanza elaborato dal Movimento 5 Stelle servono 17 miliardi l’anno. Nella sua formulazione normativa, però, non si distanzierebbe granché da altre varianti di reddito minimo condizionato. È tutt’altra cosa dal reddito di base, il quale non pone alcuna condizione alla sua erogazione. È una distinzione che spesso nel dibattito pubblico si perde. La ricetta dei 5 Stelle non è diversa dal reddito di inclusione (REI) approntato nella scorsa legislatura (addirittura è persino più punitivo, laddove prevede l’erogazione di prestazioni — o per meglio dire, di lavoro gratuito! — alla comunità di appartenenza). Non è nemmeno dissimile da quanto proponevamo noi all’interno del Manifesto di Possibile. I modelli si misurano solo sulla diversa magnitudo, sulla diversa potenzialità di assolvere al proprio compito: sollevare dallo stato di bisogno assoluto quei 5 milioni di cittadini poveri.
Ebbene, se il reddito di inclusione debuttava con quella dotazione così scarsa (2 miliardi), messa insieme in maniera un po’ posticcia soltanto a fine legislatura e rivolgendosi a circa 660mila famiglie, il reddito di cittadinanza non troverà mai le coperture necessarie a meno di non sbancalare buona parte delle tax expenditures (ma si rischierebbe la sollevazione popolare) o di sforare abbondantemente i vincoli di bilancio e attirare i guai di un crollo della fiducia sui mercati finanziari (ma a quel punto, dopo il tracollo economico, i poveri diventerebbero davvero troppi).
L’orientamento che sta prevalendo nel governo è quello di un potenziamento del REI incrementando la dotazione fino a 5 miliardi per 4 milioni di poveri con assegno medio individuale di circa 300 euro al mese: ben lungi dal concretizzare le promesse elettorali che invece valevano un assegno mensile netto di 780 euro e a cui il Ministro Di Maio resta disperatamente aggrappato.
La formula che stamane è stata rivelata da Repubblica è tal quale a quella descritta all’interno del Manifesto. Massimo Baldini dell’Università di Modena, intervistato dal giornale, attribuisce all’estensione del REI una maggior «ragionevolezza» e una maggior «compatibilità con gli equilibri di bilancio».
Nel Manifesto avevamo inoltre avanzato una seconda importante modifica al REI e che qui ripropongo: ovvero che l’assegno sia calcolato su base familiare per la soglia annuale di povertà assoluta come individuata dall’ISTAT, ma erogato individualmente ad ogni componente maggiorenne, in modo inversamente proporzionale al proprio reddito. La motivazione di tale previsione è quella di evitare che l’erogazione al solo capofamiglia non permetta una reale emancipazione dal bisogno degli altri membri del nucleo familiare. Di questo non v’è assolutamente traccia nelle altre proposte, ovviamente. Le coperture le avevamo ricavate in buona parte nell’ambito della fiscalità generale, ovvero dalle misure che avevamo previsto nel Manifesto per Redditi di Capitale, Revisione della Spesa e Imposta sulle Successioni. In una chiara ottica redistributiva.
Perché noi di Possibile abbiamo fatto una scelta di ragionevolezza e non abbiamo puntato alla proposta più allettante? Per una questione di etica politica. Abbiamo scelto di non trattare i nostri interlocutori, gli elettori, come degli stolti. L’unica strada percorribile in fatto di contrasto alla crescente privazione dei mezzi, era quella di un’estensione del REI sino a tutta la fascia della povertà assoluta. Lo abbiamo dimostrato nei numeri, costruendo un insieme ordinato di proposte, il Manifesto appunto, che si reggeva da solo, senza trucchi da quattro soldi (cit.). La sua coerenza interna, che trovava l’architrave nella riforma fiscale (anche la ProgressiviTax trasferisce denaro verso gli incapienti!), non era compromessa da false promesse irrealizzabili.
I comunicatori diranno che così non si prendono i voti. Chi scrive è invece certo che, nel lungo periodo, la coerenza e la limpidezza prevarranno. In fondo, si tratterebbe del primo #Antivirus di cui abbiamo bisogno.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]