[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ci risiamo. È di ieri l’ennesimo annuncio ad effetto in un comunicato del Governo: “si abolisce in numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi”, immediatamente smentito dai Ministeri della Sanità e dell’Università e Ricerca: non è una riforma ma un “auspicio” in vista di un potenziamento graduale del sistema, così da arrivare in futuro ad avere un numero di posti sufficiente rispetto alla domanda. Ma come? Chiunque abbia idea di come funziona in concreto un corso di laurea sapeva, senza bisogno della smentita, che l’abolizione del numero chiuso dall’oggi al domani era semplicemente irrealizzabile. I sostenitori del numero chiuso hanno gioco facile nel giustificare la loro posizione: il numero di candidati è quasi sette volte quello dei posti disponibili, e non è che le aule, i docenti, i laboratori, le strutture per i tirocini si moltiplichino per sette con un colpo di bacchetta magica (pardon: di decreto). E chi frequenta i corsi a Medicina sa bene che già ora, il numero di posti disponibili per la specializzazione non è sufficiente per il numero di laureati che già ci sono.
Ma questa situazione è stata raggiunta nel corso degli anni grazie alla mancanza di pianificazione e di strategia politica che questo Documento Programmatico di Bilancio non affronta minimamente: per abolire adesso il numero chiuso, sarebbe necessario fare investimenti consistenti e riformare in modo serio l’intero sistema di ammissione, di erogazione di borse di studio e anche di formazione. E invece si punta allo slogan (non a caso si propone solo per medicina) senza alcuna proposta di come superare le evidenti criticità.
La sensazione — neanche tanto vaga – è che quando crollerà il castello di carte di questo incredibile DPB, proprio lì si andrà a raschiare il fondo del barile. Non ci si illuda che il numero chiuso negli “inutili” corsi di laurea umanistici basterebbe a recuperare risorse: un filologo non può mettersi a insegnare cardiologia. Forse è possibile nel mondo a cinque stelle, ma non nel mondo reale.
Il tema dell’accesso universale alla formazione superiore è troppo serio per trattarlo con proclami ideologici. L’ unica risposta seria è mettere l’università e la ricerca al primo punto del programma di governo, come Possibile ha sempre proposto. Ed immaginare un futuro europeo per gli studenti di oggi e di domani, che permetta loro di sviluppare la propria carriera professionale al di fuori dei muri angusti degli egoismi nazionali. Perché i laureati italiani, all’estero, “vanno a ruba”, malgrado il nostro sistema universitario sia decisamente sotto-finanziato. Malgrado le lezioni in aule stipate come scatole di sardine, e magari il lavoro occasionale per pagarsi le tasse. Al Governo una sola, semplice richiesta: smettete di prenderci tutti per fessi.
Valentina Bianchi e Daniela D’Aloisi
per il Comitato Università e Ricerca di Possibile[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]