C’è un tribunale ad Agrigento

Il 7 ottobre 2009 il Tribunale di Agrigento ha pronunziato la sentenza n. 954/2009 con la quale ha assolto con formula piena il capitano ed il primo ufficiale della nave Cap Anamur, nonché il legale rappresentante dell’omonima ONG tedesca che ne era proprietaria.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]C’è un Tri­bu­na­le ad Agri­gen­to, che dispen­sa giu­sti­zia in sede civi­le e pena­le (per­ché con­tra­ria­men­te a quan­to affer­ma quel tale, non si fa giu­sti­zia con gli arresti).

Il 7 otto­bre 2009 il Tri­bu­na­le di Agri­gen­to ha pro­nun­zia­to la sen­ten­za n. 954/2009 con la qua­le ha assol­to con for­mu­la pie­na il capi­ta­no ed il pri­mo uffi­cia­le del­la nave Cap Ana­mur, non­ché il lega­le rap­pre­sen­tan­te dell’omonima ONG tede­sca che ne era proprietaria.

Il capo di impu­ta­zio­ne era di aver (in con­cor­so fra loro, al fine di pro­cu­rar­si un pro­fit­to sia diret­to che indi­ret­to, anche con­si­sti­to nel­la pub­bli­ci­tà e riso­nan­za inter­na­zio­na­le otte­nu­ta ed inol­tre un pro­fit­to rela­ti­vo alla ven­di­ta a ter­zi del­le imma­gi­ni e del­le infor­ma­zio­ni rela­ti­ve ai fat­ti per cui era pro­ces­so, uti­liz­zan­do la moto­na­ve Cap Ana­mur bat­ten­te ban­die­ra tede­sca non­ché pro­spet­tan­do fal­sa­men­te alle Auto­ri­tà del­lo Sta­to com­pe­ten­ti una situa­zio­ne di emer­gen­za anche sani­ta­ria a bor­do del­la nave) com­piu­to atti­vi­tà diret­ta a favo­ri­re l’ingresso clan­de­sti­no nel ter­ri­to­rio nazio­na­le di 37 cit­ta­di­ni extra­co­mu­ni­ta­ri di nazio­na­li­tà mista, con­si­sti­ta nel tra­spor­to nel­le acque ter­ri­to­ria­li ita­lia­ne e quin­di allo sbar­co sul ter­ri­to­rio nazio­na­le dei 37 , con l’aggravante di aver agi­to in tre per­so­ne riu­ni­te e di aver intro­dot­to più di cin­que cit­ta­di­ni extracomunitari.

Il dibat­ti­men­to ave­va accer­ta­to che:

  • Il 20 giu­gno 2004 la moto­na­ve ave­va avvi­sta­to un gom­mo­ne con 37 per­so­ne a bor­do, in un trat­to di mare di acque inter­na­zio­na­li sito a 46 miglia dal­le coste del­la Libia, a 90 miglia da Lam­pe­du­sa e a 160 miglia da Malta;
  • Era accer­ta­to come il gom­mo­ne, poi rin­ve­nu­to a bor­do, imbar­ca­va acqua e non era in gra­do di por­ta­re a ter­mi­ne la traversata;
  • Le per­so­ne imbar­ca­te dichia­ra­va­no in mag­gio­ran­za di pro­ve­ni­re dal Sudan;
  • Valu­ta­te le con­di­zio­ni, essen­do il por­to sicu­ro più vici­no in acque ita­lia­ne, il capi­ta­no esclu­de­va Lam­pe­du­sa a cau­sa del­le dimen­sio­ni del­la moto­na­ve e si diri­ge­va ver­so Por­to Empedocle;
  • Il capi­ta­no segui­va la pro­ce­du­ra con­tat­tan­do il man­da­ta­rio marit­ti­mo del­la Com­mis­sio­ne Rifu­gia­ti ONU a Roma e chie­den­do suc­ces­si­va­men­te l’autorizzazione all’approdo alle auto­ri­tà italiane;
  • L’autorizzazione era nega­ta, e la nave rima­ne­va al limi­te del­le acque ter­ri­to­ria­li per una deci­na di gior­ni, fino a quan­do la situa­zio­ne sul­la nave dive­ni­va ingo­ver­na­bi­le, quin­di veni­va auto­riz­za­ta ad ormeg­gia­re ad un miglio dal porto;
  • La mat­ti­na del 12 luglio 2004, rice­vu­ta l’autorizzazione, pro­ce­de­va all’attracco e allo sbarco.

Il Tri­bu­na­le di Agri­gen­to accer­ta­va la sus­si­sten­za del­la cau­sa di giu­sti­fi­ca­zio­ne pre­vi­sta dall’art. 51 del codi­ce pena­le, nel­la spe­cie adem­pi­men­to di un dove­re impo­sto da una nor­ma di dirit­to inter­na­zio­na­le. Il dato ogget­ti­vo emer­so in dibat­ti­men­to era l’avvenuto sal­va­tag­gio di 37 per­so­ne in peri­co­lo di scom­par­sa in mare. Veni­va esclu­so che la pre­sen­za del­la nave nel­la zona del sal­va­tag­gio fos­se da ricon­dur­re ad una sor­ta di “pat­tu­glia­men­to” del­le acque a sco­po di lucro diret­to o indiretto.

Pre­met­ten­do che il nostro ordi­na­men­to si con­for­ma alle nor­me del dirit­to inter­na­zio­na­le gene­ral­men­te rico­no­sciu­te ai sen­si dell’art. 10 del­la Costi­tu­zio­ne, il Tri­bu­na­le spe­ci­fi­ca­va come fra que­ste rien­tras­se­ro quel­le degli accor­di inter­na­zio­na­li in vigo­re in Ita­lia, con carat­te­re di sovraor­di­na­zio­ne rispet­to alla disci­pli­na interna.

Pri­ma di tut­to era cita­ta la Con­ven­zio­ne di Mon­te­go Bay (UNCLOS), art. 98, che impo­ne al coman­dan­te di una nave di pre­sta­re assi­sten­za a chiun­que si tro­vi in peri­co­lo in mare e di recar­si il più pre­sto pos­si­bi­le in soc­cor­so ove ven­ga infor­ma­to di tale neces­si­tà. La nor­ma non è dero­ga­bi­le in base all’art. 311 del­la stes­sa con­ven­zio­ne. In sen­so con­for­me dispo­ne l’art. 10 del­la con­ven­zio­ne sul soc­cor­so in mare del 1989 SALVAGE, così come la con­ven­zio­ne SOLAS del 1974, resa ese­cu­ti­va in Ita­lia nel 1980. Infi­ne, la con­ven­zio­ne SAR (Search and Rescue), resa ese­cu­ti­va in Ita­lia nel 1989, che ugual­men­te pre­ve­de l’obbligo di soccorso.

Que­sto obbli­go è raf­for­za­to dall’art. 1158 del codi­ce del­la navi­ga­zio­ne ita­lia­no che san­zio­na penal­men­te l’omissione, da par­te del coman­dan­te di nave, ita­lia­na o stra­nie­ra, di pre­sta­re assi­sten­za o ten­ta­re il sal­va­tag­gio nei casi in cui sus­si­ste l’obbligo stesso. 

Ma secon­do il Tri­bu­na­le l’operazione di sal­va­tag­gio non pote­va dir­si con­clu­sa, poi­ché “dove­va carat­te­riz­zar­si (anche) dal­la con­du­zio­ne del­le per­so­ne soc­cor­se in una loca­li­tà sicu­ra”. La nave infat­ti è luo­go prov­vi­so­rio di sal­va­tag­gio, con obbli­go di con­dur­re le per­so­ne nel POS, Pla­ce of Safe­ty, cioè “luo­go di sicu­rez­za”, più vicino.

L’obbligatorietà dell’operazione di sal­va­tag­gio non si limi­ta, quin­di, alla rac­col­ta dei nau­fra­ghi, ma si com­po­ne anche neces­sa­ria­men­te del­la neces­si­tà di garan­ti­re ai mede­si­mi il dirit­to uni­ver­sa­men­te rico­no­sciu­to di esse­re con­dot­ti sul­la terraferma. 

Il Tri­bu­na­le ha con­fer­ma­to come la Libia (già nel 2004) non potes­se esse­re con­si­de­ra­to “luo­go di sicu­rez­za”, non aven­do rati­fi­ca­to la con­ven­zio­ne di Gine­vra sul­lo sta­tus dei rifu­gia­ti. Gli impu­ta­ti ave­va­no altre­sì esclu­so Mal­ta, per quan­to fos­se ogget­ti­va­men­te più distan­te, in ragio­ne del­le risul­tan­ze di una riso­lu­zio­ne del par­la­men­to euro­peo del 6 apri­le 2006.

Peral­tro, l’individuazione del POS nul­la ave­va a che vede­re con gli accor­di del rego­la­men­to di Dubli­no sull’accoglienza e la redi­stri­bu­zio­ne dei migranti.

Veni­va­no riget­ta­te tut­te le tesi del­la Pro­cu­ra rela­ti­ve al pre­sun­to sco­po di lucro indi­ca­to nel capo di imputazione.

Non essen­do sta­to vie­ta­to l’ingresso nel­le acque inter­na­zio­na­li ed essen­do sta­to auto­riz­za­to il suc­ces­si­vo attrac­co, il Tri­bu­na­le si esi­me­va dal valu­ta­re se la scri­mi­nan­te avreb­be ope­ra­to anche in caso di divie­to di attracco.

Tut­ta­via pre­ci­sa­va che il solo dub­bio sul­la sus­si­sten­za del­la scri­mi­nan­te avreb­be comun­que por­ta­to all’assoluzione con for­mu­la dubitativa.

Quin­di, rias­su­men­do ad uso del dibat­ti­to attua­le sul com­por­ta­men­to del­la capi­ta­na di SeaWatch3 Caro­la Rackete:

  • sal­va­re vite uma­ne in mare è un obbli­go pre­vi­sto dal­le con­ven­zio­ni inter­na­zio­na­li alle qua­li l’Italia ade­ri­sce, sovraor­di­na­te rispet­to alle nor­me di dirit­to “inter­no”;
  • l’obbligo non si esau­ri­sce con il sal­va­tag­gio in sen­so stret­to, ma neces­si­ta anche il suc­ces­si­vo sbar­co del nau­fra­ghi nel POS (luo­go di sicu­rez­za) più vici­no, che nel caso SeaWatch3 è indu­bi­ta­bil­men­te Lam­pe­du­sa, per le stes­se ragio­ni indi­ca­te in sentenza;
  • la vio­la­zio­ne dell’obbligo com­ples­si­va­men­te inte­so è fon­te di respon­sa­bi­li­tà pena­le del capi­ta­no ai sen­si dell’art. 1158 Codi­ce del­la Navigazione;
  • even­tua­li rea­ti rela­ti­vi all’immigrazione clan­de­sti­na sono scri­mi­na­ti dal­la cau­sa di giu­sti­fi­ca­zio­ne di cui all’art. 51 codi­ce pena­le, adem­pi­men­to di un dove­re.

Resta da valu­ta­re, anche se appa­re abba­stan­za ovvio, se la scri­mi­nan­te ope­ri anche a fron­te di un ordi­ne pale­se­men­te ille­git­ti­mo, alla luce del­le con­ven­zio­ni inter­na­zio­na­li cita­te, che impe­di­sca l’approdo, non­ché in subor­di­ne se pos­sa inter­ve­ni­re anche l’applicazione dell’art. 54 codi­ce pena­le sul­lo sta­to di necessità.

C’è un Tri­bu­na­le ad Agrigento.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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