Appare ormai chiaro che il motivo per il quale un inizialmente dubbioso Zingaretti ha accettato di governare coi Cinque Stelle è un azzardato all-in, la scommessa cioè di mettere sul piatto la legislatura solo se insieme a una sistematica alleanza nelle amministrative. Per vincere, si poteva pensare, o per perdere in modo meno devastante, verrebbe da dire dopo i risultati di ieri. Come quelle coppie che si conoscono in un casinò di Las Vegas, appunto, si sposano la sera stessa in una cappella improbabile e la notizia non fa in tempo ad arrivare agli amici che quelli sono già per avvocati.
E tutto questo sarebbe stato anche comprensibile se in questi primi due mesi di nuovo-vecchio Governo si fosse trovata la forza di scegliere due o tre battaglie simboliche su cui marcare una profonda discontinuità, o almeno una differenza, e le occasioni non mancavano, dai decreti sicurezza alle parole sull’accoglienza fino al rinnovo degli accordi con la Libia per la gestione dei migranti che scatterà fra meno di due settimane, e su cui grava un silenzio che purtroppo è tombale. Invece si è tenuto a confermare il vecchio adagio, quello per cui se non ci si distingue dalla destra poi l’elettore alla copia preferisce l’originale. Era anche l’occasione per una generazione, quella che oggi guida il mondo e il Paese, di andare incontro a quella nuova, mollando qualcosa, rinunciando a favore di chi verrà dopo, del futuro, di chi ha meno, tema che ad esempio nel Partito Democratico americano è molto sentito, mentre qui da noi evidentemente no. Invece, niente.
In questa gestazione fulminea, l’unica cosa veramente veloce di questo nuovo assetto, la gatta frettolosa ha fatto i gattini umbri, e anche se per assurdo questa sconfitta blinda ancora di più il Governo, perché certamente l’attuale maggioranza ora non avrà nessuna voglia di andare a votare per vedersi certificare un esito del tipo “tanti a pochi”, questo vuole anche dire che questo Governo andrà avanti per inerzia — poca — senza cambiare nulla di significativo, che l’occasione di fare le cose davvero importanti andrà persa e lo stesso i prossimi anni, che invece proprio non possiamo permetterci di sprecare, poiché banalmente è già tardi e non abbiamo tempo da perdere.
Forse non ci si poteva aspettare altro, forse è un problema di mentalità, o forse di generazioni, anche se lo si nega sempre, semplicemente questa classe dirigente non ha gli strumenti per comprendere la situazione e per intervenire di conseguenza. E invece serve proprio una nuova generazione, serve la Generazione G, quella che nell’ultimo anno si è imposta all’attenzione del mondo, senza altre forze se non le proprie, e quella delle proprie idee.
Noi abbiamo deciso di indagarla, di ascoltarla, e per questo ci vedremo sabato 30 novembre a Milano in una giornata in cui i ragazzi insegnano e gli adulti imparano, si spera, nuove soluzioni perché quelle vecchie, evidentemente, non funzionano. Lo faremo adesso, con un senso di urgenza, perché è del tutto evidente che se loro stessi avessero pensato di poter aspettare di crescere, beh, non ne avremmo mai sentito parlare.