Il 26 marzo si terrà, in più di trenta città italiane, lo sciopero nazionale dei rider. La rete RiderXiDiritti invita i consumatori a unirsi alla protesta e boicottare le principali piattaforme di food deliverance al grido di “Nessuno ordina, nessuno consegna”.
Nonostante la (buona) notizia dell’intesa raggiunta tra i lavoratori, i sindacati e AssoDelivery (l’associazione italiana del food delivery) con la mediazione del Ministero del Lavoro, sul contrasto alle forme di caporalato che interessano anche le consegne a domicilio, la protesta non si ferma, perché invece la trattativa sul contratto è ferma da novembre. Il tavolo principale della trattativa è ancora aperto: l’accordo di ieri l’altro ci fa sperare in una possibile svolta positiva.
Le principali richieste dei rider sono quelle di essere inquadrati come lavoratori dipendenti, cui vengano garantiti i dovuti diritti e le dovute tutele, e più in generale che sia difesa la loro dignità. Fossimo in Spagna, ciò sarebbe già realtà. La ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, ha così detto alla tv: «ora sono considerati lavoratori dipendenti e godranno di tutte le tutele pertinenti». La decisione del governo è solo l’ultimo passaggio di un cammino segnato a furia di sentenze dei giudici: i tribunali di Barcellona e Madrid, infatti, avevano segnalato le piattaforme come qualcosa di più di semplici intermediari, stabilendo che i rider dovessero essere inquadrati come dipendenti.
Qualcosa di simile sta maturando anche da noi. A esprimere un parere vicino alle richieste attuali dei lavoratori era stata la procura di Milano, la quale aveva inquadrato quello del rider come un falso lavoro autonomo basato sul cottimo, sulla base dell’articolo 2 del D. Lgs. 81/2015, stabilendo multe per oltre 700 milioni nei confronti delle app di delivery e l’obbligo di assunzione dei lavoratori. Vi erano state inoltre importanti sentenze che avevano smascherato gli abusi di queste aziende, come quella del Tribunale di Bologna, la quale aveva segnalato come discriminatorio l’algoritmo di Deliveroo, in quanto riduceva l’accesso ai turni ai fattorini assenti per malattia o sciopero. A luglio 2020, invece, Uber Eats era stata addirittura commissariata per aver instaurato un sistema sostanzialmente criminale basato sul caporalato digitale che arrivava a requisire le mance ai propri lavoratori. A rincarare la dose dell’abuso e dell’illegalità, abbiamo anche assistito alla stipulazione di un accordo farsa tra Assodelivery e UGL, un sindacato per nulla rappresentativo della categoria dei rider e su posizioni estremamente vicine alla volontà delle aziende. Gli stessi sindacati che oggi partecipano ai già citati tavoli di lavoro per raggiungere un vero accordo avevano indicato come illegittima l’intesa siglata tra UGL e le aziende.
Addirittura Just Eat si era smarcata dall’accordo annunciando assunzioni dirette in diverse formule (tempo pieno, part-time, a chiamata) e garantendo una serie di diritti e tutele ai suoi dipendenti, come ferie, malattia, congedo di maternità/paternità, indennità per lavoro notturno e festivi, coperture assicurative, tutele previdenziali, formazione obbligatoria e dispositivi di sicurezza obbligatori e gratuiti.
In questa direzione si è mossa anche Tadan, azienda toscana del settore che gestisce una settantina di dipendenti tra Firenze, Pisa e Livorno e che ha da poco raggiunto un accordo con i sindacati per garantire tutti i diritti e le tutele del caso ai propri dipendenti.
Insomma un sistema diverso, dove la dignità dei lavoratori è garantita, sembra quindi possibile e sostenibile come da tempo chiediamo e suggeriamo, con la nostra proposta di legge depositata alla Camera a inizio legislatura (Atto Camera N. 862): le piattaforme si devono adeguare alla legge e al diritto tutelando la dignità di tutti coloro i quali svolgono questo lavoro (un vero lavoro, non un lavoretto!).
Glovo e Deliveroo si sono contraddistinte ancora una volta per la loro contrarietà alle assunzioni, annunciando ricorso rispetto la sentenza di Milano e preferendo investire milioni (su scala globale) in bonus, rivolti ai fattorini più efficienti, piuttosto che in stabilizzazioni e tutele dei propri “collaboratori”.
La lotta dei lavoratori quindi non si arresta davanti alle prime aperture da parte delle aziende, ma anzi si solidifica affinché tutte le promesse già fatte siano mantenute e sperando si possa arrivare a una tutela piena di quelli che abbiamo considerato lavoratori essenziali nel momento del bisogno e senza i quali probabilmente il settore della ristorazione avrebbe patito una crisi ancora più grande.
Certamente l’accordo anti caporalato apre una nuova strada: è il riconoscimento che questo settore può essere gestito in maniera differente rispetto al passato e che le lotte dei rider non sono state vane. Lo sciopero serve a rimarcare che la strada è quella giusta, che è ancora lunga e che i lavoratori non sono intenzionati a fermarsi finché non otterranno quanto gli spetta.
Il 26 marzo noi siamo con loro: nessuno ordina, nessuno consegna.
Giacomo Berni