Era il primo giugno dello scorso anno, quando il decreto interministeriale Interno, Economia, Lavoro e Politiche agricole dava il via alle domande di regolarizzazione dei rapporti di lavoro con cittadini stranieri in tre settori: agricoltura, assistenza alla persona e lavoro domestico. Erano stati previsti due binari, l’attivazione del datore di lavoro tramite lo Sportello unico per l’immigrazione mediante istanza telematica all’Inps con l’esborso di 500 Euro e un contributo forfettario da determinare e l’attivazione da parte del cittadino straniero (col permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 e, soprattutto, in grado di dimostrare un rapporto di lavoro antecedente a questa data), come secondo binario, con un’ istanza da presentare direttamente alla questura.
Il provvedimento, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rendere gli invisibili meno invisibili: l’obiettivo non è stato raggiunto. Sono circa 207 mila le domande pervenute e di queste solo il 15% riguarda lavoratori agricoli (al lavoro domestico il restante 85%) mentre i cittadini stranieri irregolari sono 600–650 mila, senza diritti e senza attenzione sanitaria (non sottovalutabile in ogni caso, ancora meno in tempi di pandemia). Da una parte dei paletti troppo stringenti sulla sanatoria (perché di questo si tratta) che hanno tagliato fuori il settore edile, dall’altra un collo di bottiglia amministrativo-burocratico ha visto solo una minima parte delle domande arrivare alla fine dell’iter (solo il 5% fino al 16 febbraio).
Emblematico il caso di Milano dove, a metà febbraio, sulle oltre 26mila istanze solo 289 erano in istruttoria e le convocazioni in prefettura dovevano ancora iniziare. Relegare tutti questi lavoratori (che risiedono nel nostro Paese) nel cono d’ombra dell’irregolarità significa danneggiarli, esponendoli allo sfruttamento, danneggiando così gli stessi lavoratori ‘regolari’.
Alla luce di questi dati si dovrebbe discutere dell’opportunità di superare tali rimedi parziali e temporanei con uno strumento sempre accessibile che permetta di far emergere tutte queste persone dall’irregolarità. Come Possibile propone (dal proprio Manifesto del 2017) occorre intervenire nel breve, medio e lungo periodo: fin da subito rafforzando la risposta umanitaria sulle rotte migratorie (il bilancio dell’Ue 2021–2027 prevede solo 8,7 miliardi per il Fondo asilo e migrazione, contro 10,6 miliardi direttamente destinati alla gestione delle frontiere e all’agenzia Frontex, esclusi i costi dell’accordo con la Turchia), sul superamento del Regolamento di Dublino (attualmente in discussione al Consiglio d’Europa senza che sia ancora giunti a trattare la solidarietà interna fra Stati Membri nella gestione dei flussi), sulle vie d’accesso legali e sicure all’Unione Europea e nel lungo termine al contrasto delle cause intrinseche dei flussi migratori: cambiamenti climatici, guerre, povertà, corruzione, disuguaglianze, pratiche fiscali e commerciali predatorie ai danni dei paesi in via di sviluppo.
La proposta di legge di iniziativa popolare lanciata nel 2017 dalla campagna “Ero straniero” è in discussione alla Commissione Affari costituzionali della Camera. Difficilmente questo governo, vista la composizione ancor meno ben disposta sulla questione rispetto al Conte II, farà passi in avanti sui permessi di soggiorno per comprovata integrazione, sulla semplificazioni all’accesso a prestazioni sociali e sanitarie, sull’abolizione del reato di clandestinità anche se si tratterebbe di buon senso e di semplice realpolitik visto che, come si diceva prima, stiamo parlando di persone che sono già in Italia. Eppure, in questo momento, dal governo dei migliori è lecito aspettarsi un approccio diverso, sarebbe ora: la precaria attesa di un permesso di soggiorno da parte di migliaia di lavoratori dura da troppo tempo.