di Marianna Monterosso
Pomeriggio caldo d’agosto, sono sul divano in modalità pennichella, accendo la tv e c’è l’edizione delle 15:10 del telegiornale. Non cambio canale, guardo.
La telecamera è focalizzata sulla giornalista che scandisce le parole con una dizione impeccabile, l’inquadratura prende la metà dello schermo e dall’altra parte, dentro a un rettangolo, c’è una ragazza che segna in LIS (Lingua Italiana dei Segni) le notizie
Mi viene in mente Alessia, la mia compagna della prima media, penso chissà dove sarà adesso e se nella scuola di Torino, dove si era trasferita per il lavoro del padre, si è poi trovata bene.
Io sono SORDA, rispondeva Alessia alla prof di scienze ogni volta che la chiamava “non udente”. Segnava quella frase con il viso arrabbiato, ma in pochi capivano quella danza di mani con cui disegnava le parole nell’aria, con una fluidità e una grazia degna di un étoile della Scala
C’è in Italia questa mania di cambiare le parole per renderle più carine, ma la verità è che se tu dici a un sordo che non è capace di sentire, non fai altro che sottolineare la sua disabilità invece di riconoscere la sua diversità.
È qui la chiave di tutto, sapete, di tutti i discorsi sull’inclusione, l’inclusività e l’integrazione sociale: CONOSCERE E RICONOSCERE LA DIVERSITÀ, per accoglierla, per migliorarsi, perché la diversità è un deficit solo per chi non la comprende.
La LIS è stata introdotta ufficialmente nel nostro Paese soltanto il 19 maggio 2021.
L’Articolo 34-ter del Decreto Sostegni “riconosce, promuove e tutela la lingua dei segni italiana (LIS) e la lingua dei segni italiana tattile (LIST)”, con ben 10 (DIECI!) ANNI di ritardo dalla Convenzione dell’ONU sulla disabilità.
Troppo tempo in cui, ancora una volta, sono stati violati i sacrosanti diritti alle pari opportunità delle minoranze invisibili, diritti che vengono esplicati come “servizi” alla comunità dei diversi, non come doveri dello Stato a trattare tutti in modo equo.
Ora si aspettano i decreti attuativi, ma le premesse di questo ipotetico diritto dei sordi a convivere degnamente nella società italiana non sono delle migliori, in quanto si è parlato di introdurla solo negli “eventi pubblici”, per capirci quelli politici, o religiosi, le dirette parlamentari, e altri avvenimenti in cui ora si è obbligati, visto il decreto, a segnare.
Significa che in Italia, ad oggi, un bambino sordo non può frequentare serenamente la scuola pubblica, perché non ci sono insegnanti che sanno segnare. Pretendiamo che gli alunni sordi si adattino imparando con i nostri metodi, ma l’insegnamento non si fa con la didattica pindarica, basandoci sul buon senso (chi ce l’ha) o sulla buona volontà: si parlano due lingue diverse e non ci si capirà mai bene.
Per restituire il diritto allo studio anche ai bambini e ragazzi sordi è necessario rivedere tutto il sistema scolastico nazionale (a tal proposito, se aveste voglia di suggerimenti concreti, vi consiglio di leggere il meraviglioso documento “La scuola salva il mondo. Proposta per una scuola possibile”): è così dispendioso, per esempio, fare dei corsi di LIS per gli insegnanti di sostegno? Oppure introdurre nelle classi in cui ci sono le disabilità uditive, docenti in grado di segnare per questi bambini? E come fa un bimbo sordo ad interagire con i compagni?
Alessia si era trasferita a Torino, lì stava frequentando una scuola per sordi.
Io stessa, per un breve periodo della mia vita, ho insegnato in una scuola per sordi.
Ricordo la bellezza di quelle parole dette con il corpo, di quell’ascolto fatto con gli occhi e col cuore, delle lezioni dipinte sulla lavagna, e di come loro, i miei alunni, avevano accettato la mia ignoranza, e mi insegnavano a segnare almeno le frasi principali. Ricordo l’abitudine di dire sempre “grazie” per ogni cosa, anche a fine lezione ringraziavano, e applaudivano agitando le mani aperte sopra le spalle.
Quella scuola era bellissima, era un’oasi di serenità, i ragazzi erano felici… ma pensavo… e quando andranno all’università? Sarà così facile per loro o saranno costretti a rinunciare a studiare? E quando cresceranno? Riusciranno a realizzare i loro sogni e inserirsi nel mondo del lavoro.
Accanto al profumo dell’oasi felice, sentivo anche un persistente odore di ghetto.
Confesso: ho tergiversato ma alla fine ho avuto l’ardire di scriverla, la parola ghetto.
E mi chiedo, ancora adesso sul divano: perché esistono le scuole per sordi?
Penso che ci attacchiamo alle etichette solo per concedere un minuscolo spazio vitale, un piccolo ritaglio sociale, come il rettangolo del tg, a chi statisticamente non rispecchia la nostra idea di normalità fisica, intellettuale, mentale, e addirittura morale, e così ci laviamo la coscienza.
Spengo la tv, le 4 ore canoniche per digerire la pasta alla norma sono trascorse e decido di andare in spiaggia. Mentre recupero la borsa del mare, penso: “Ma perché nell’edizione del TG per sordi non ci sono mai i servizi giornalistici ed è tutto così didascalico? E se fossi sorda e avessi voglia, adesso, di fare zapping e guardare un programma qualsiasi, potrei farlo.
Anche la televisione dovrebbe avere pari opportunità per tutti… o no?