di Rocco Casciani
Questa offerta di lavoro pubblicata sul portale istituzionale di una Regione ci restituisce una fotografia di cosa sia il mercato del lavoro nel nostro paese.
La disciplina della Regione Lazio in materia di tirocini lo mette subito in chiaro: il tirocinio non configura un rapporto di lavoro. Si tratta invece di un percorso di apprendimento svolto sul luogo di lavoro, e più precisamente di un periodo di pratica lavorativa il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica.
Si tratta in altre parole di una legittimazione del “pagamento in esperienza” che richiederebbe di delimitare le possibilità di ricorso allo strumento con paletti stringenti, onde evitare abusi.
Nonostante le preoccupazioni sollevate dalla stessa Commissione Europea già nel 2013 con riguardo alla qualità dei tirocini offerti e il loro valore aggiunto, all’insufficienza dei contenuti per quanto riguarda l’apprendimento, alle condizioni non adeguate di lavoro e ai tirocini ripetuti che in realtà vengono utilizzati come sostituti di veri posti di lavoro, non si è ritenuto di adottare particolari precauzioni.
Oggi come allora, infatti, il tirocinio può essere stipulato con grandi e piccini, laureati e senza titolo di studio, in via di principio per qualsiasi tipo di mansioni, purché vi sia un “contenuto formativo”. A vigilare sulla qualità del tirocinio sarà il Soggetto Promotore, una figura di garanzia richiesta per l’attivazione che viene individuata tra specifici soggetti tra i quali, per l’appunto, le Regioni.
E tuttavia accade che — proprio sul portale di una Regione — tra le offerte di lavoro faccia bella mostra di sé un’invitante richiesta per un tirocinante facchino. Andando ad approfondire il contenuto formativo del percorso offerto, scopriamo che il tirocinante — supponiamo in costante affiancamento al tutor come prevede la normativa – apprenderà ”come preparare la merce da consegnare alla clientela” e “come sistemare i materiali in magazzino”. Niente male, davvero.
La ciliegina sulla torta? Al termine dei sei mesi di formazione, se la risorsa avrà dato buona prova di sé, l’azienda non esclude l’inserimento in apprendistato.
Perché non si finisce mai di imparare. E di essere sfruttati.