di Linda Bardho e Franco Bianchi
Uno tra i principali indicatori di un mercato del lavoro poco strutturato è il ricorso eccessivo ai contratti di lavoro part time, che, come vedremo, sono il più delle volte involontari per i lavoratori.
Purtroppo, si tratta di un fenomeno largamente presente da molto tempo nel nostro paese e che continua a persistere.
Tra gli occupati, infatti, il numero di coloro che hanno accettato un contratto a orario ridotto, solamente per l’assenza di offerte lavorative a tempo pieno, è alto e continua a crescere.
Secondo il rapporto annuale dell’Accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, tra il 2008 e il 2018 la quota degli occupati in part time involontario è passata dal 40,2% al 64,1%.
Ahimè, questo trend non è cambiato neanche nel 2020.
Dati più recenti in merito ci arrivano dall’ INAPP, il quale afferma che nel primo semestre del 2021 si è verificata “Una ripresa… a tempo parziale”. In altre parole: i numeri dell’occupazione si sono alzati ma mezzo attraverso il ricorso a oltre un milione di assunzioni in part-time, il più delle volte involontario.
Ma perché è preoccupante un dato del genere?
Innanzitutto, per la ragione che il part-time involontario può nascondere il lavoro nero, come succede spesso nei settori dell’igiene urbana e delle cooperative della logistica, in cui le persone assunte formalmente con un contratto a tempo parziale, svolgono in realtà lavoro full-time.
In secondo luogo, un altro aspetto preoccupante di questi dati si ha guardando alle disuguaglianze di genere; : quasi la metà delle nuove assunzioni di donne avvengono tramite un contratto part-time involontario. Di contro, questo si verifica solo per il 26,6% delle assunzioni di uomini.
Inutili quindi sono state le agevolazioni predisposte per la correzione di questa tendenza che continua a resistere. A tal proposito, si potrebbe intervenire offrendo dei servizi di welfare per l’assistenza ai figli e la cura dei familiari non autosufficienti in modo da aiutare tuttə a conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari, senza dover accettare un part time “forzato”.
Un’altra linea di intervento può aversi tramite la contrattazione collettiva che dovrebbe impegnarsi a regolare lo smart working, uno strumento che permette di svolgere l’attività lavorativa in modalità flessibile.
Infine, una terza via consiste nell’operare un giro di vite sulla normativa in materia di orario parziale, andando ad introdurre l’obbligo di comunicare preventivamente agli organismi di controllo (mediante sistemi analoghi a quelli già in uso per le comunicazioni di lavoro intermittente) ogni variazione della collocazione temporale dell’orario di lavoro rispetto a quanto originariamente pattuito nel contratto di lavoro: ciò eviterebbe non soltanto l’uso fraudolento delle clausole flessibili (e l’impossibilità di accertarne l’abuso) ma costituirebbe anche un impedimento alle sempre più frequenti ed improvvise modifiche unilaterali dell’orario di lavoro da parte del datore di lavoro, che violano il diritto del lavoratore di conoscere preventivamente l’esatta collocazione giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa e di disporre liberamente del proprio tempo libero.
Sono vari quindi i campi su cui intervenire, basterebbe solo agire.
Cosa aspettiamo?