esagerat3: l’intervento della Segretaria di Possibile Francesca Druetti

Per pri­ma cosa, vor­rei dare un abbrac­cio ad Anna Mot­ta e Pino Paciol­la, i geni­to­ri di Mario Paciol­la, che sono sta­ti qui con noi oggi. È bel­lis­si­mo veder­vi e poter­ci strin­ge­re, in que­sto mon­do che non è anco­ra quel­lo che vor­rem­mo che fosse. 

Poi, voglio ini­zia­re dicen­do che sono mol­to gra­ta per la gior­na­ta di oggi, a tut­te le per­so­ne che sono sta­te sul pal­co, a esagerat3 e a Pos­si­bi­le, per­ché l’e­ner­gia e le idee e le espe­rien­ze sen­ti­te oggi rap­pre­sen­ta­no un’oc­ca­sio­ne che non è faci­le avere.

Non è faci­le per­ché per gior­na­te come oggi biso­gna pren­der­si il tem­po e lo spa­zio, e tem­po e spa­zio oggi van­no con­qui­sta­ti, men­tre dovreb­be­ro esse­re un dirit­to. Inve­ce, come per tut­ti gli altri dirit­ti, ci tro­via­mo in un siste­ma che li com­pri­me. Spa­zi di discus­sio­ne, di dis­sen­so: le piaz­ze per mani­fe­sta­re, le sale per orga­niz­za­re gli even­ti, i luo­ghi del­la socia­li­tà (e non del con­su­mo). La peri­fe­ria e il cen­tro, il nord e il sud, la cit­tà e i pae­si. Degli spa­zi si è par­la­to parec­chio oggi, non solo nell’intervento più spe­ci­fi­co di Lau­ra del Re per Sex and the city, ma anche negli altri panel, e ne abbia­mo par­la­to anche a pran­zo, a micro­fo­no spen­to. Del­la dif­fi­col­tà di tro­var­ne, soprat­tut­to per chi è gio­va­ne e “non inse­ri­to”, per chi cer­ca di crea­re qual­co­sa da zero dove non c’è. 

E poi c’è la que­stio­ne del tem­po. Il tem­po non dedi­ca­to al lavo­ro, al lavo­ro di cura, all’iperconnettività di cui sia­mo bene o male vit­ti­me. Il tem­po, come lo spa­zio, è un requi­si­to neces­sa­rio per la demo­cra­zia. Abbia­mo biso­gno di tem­po per stu­dia­re, per ascol­ta­re, per fare espe­rien­ze, per par­te­ci­pa­re. Per spo­star­ci e attra­ver­sa­re gli spa­zi in cui voglia­mo e dob­bia­mo sta­re. Sen­za que­sto tem­po neces­sa­rio, non c’è poli­ti­ca o par­te­ci­pa­zio­ne, ma solo slo­gan. Ed è una par­te impor­tan­te del cli­ma poli­ti­co pes­si­mo in cui viviamo.

Nel siste­ma capi­ta­li­sti­co e patriar­ca­le in cui ci tro­via­mo, que­sto tem­po non c’è, pro­gram­ma­ti­ca­men­te. Per­ché l’im­pe­ra­ti­vo è pro­dur­re, lavo­ra­re, spes­so per mol­te più ore di quan­to sia giu­sto ed equo per rag­giun­ge­re la soglia neces­sa­ria per vive­re. Per­ché nel resto del tem­po biso­gna con­su­ma­re, pre­fe­ri­bil­men­te. “Gra­zie” al gen­der pay gap, per le don­ne sono mol­te più ore. “Gra­zie” alla distri­bu­zio­ne ine­gua­le del lavo­ro di cura, per le don­ne quel tem­po si ridu­ce anco­ra di più. 

E inve­ce lo spa­zio ce lo pren­dia­mo, lo occu­pia­mo con tut­te le dif­fi­col­tà che com­por­ta, il tem­po lo tro­via­mo, fati­co­sa­men­te. Su que­sto voglio dire una cosa a cui ten­go mol­to, ne ho par­la­to nel pri­mo discor­so da segre­ta­ria di Pos­si­bi­le e ci tor­no sopra. Negli ulti­mi anni, dif­fi­cil­men­te ho avu­to una con­ver­sa­zio­ne sul­la mili­tan­za e sull’attivismo in cui a un cer­to pun­to non spun­tas­se il tema del burn out, quel­lo stress cro­ni­co per cui si vie­ne sopraf­fat­te dal­le cose da fare e dal­la pres­sio­ne. L’abbiamo visto suc­ce­de­re a tan­te com­pa­gne e com­pa­gni di stra­da, per­ché chi fa atti­vi­smo spes­so sen­te tut­to il peso del mon­do sul­le pro­prie spal­le, let­te­ral­men­te. Chi sen­te l’urgenza di agi­re il cam­bia­men­to sen­te lo stress di non fare abba­stan­za. Suc­ce­de con la cri­si cli­ma­ti­ca, con la Pale­sti­na, con la rab­bia che ci pren­de di fron­te alla vio­len­za di gene­re e ai fem­mi­ni­ci­di, all’omolesbobitransfobia, al raz­zi­smo, alle disu­gua­glian­ze economiche. 

Ecco, non lascia­mo che la cul­tu­ra del “tut­to o nien­te”, del­la per­for­man­ce a tut­ti i costi ci tol­ga il dirit­to e la sod­di­sfa­zio­ne di fare la nostra par­te. Se abbia­mo due ore da dedi­ca­re a una cau­sa in cui cre­dia­mo, sono due ore in cui qual­cu­n’al­tra può toglier­si il peso dal­le spal­le. Pen­sia­mo­la come una “ban­ca del tem­po” in cui ognu­na por­ta quel­lo che può per­ché lo sfor­zo è col­let­ti­vo. Da sole, non baste­reb­be­ro tut­te le 24 ore, sen­za man­gia­re e sen­za dor­mi­re. Insie­me, è un’altra cosa. Come divi­dia­mo gli spa­zi, abi­tuia­mo­ci a divi­de­re anche il tempo. 

Que­sta inter­se­zio­ne di tem­po e spa­zio in cui por­tia­mo i nostri cor­pi è la nostra resi­sten­za. Que­sta è la paro­la con cui vor­rei chiu­de­re e anche l’augurio che ci fac­cio. Non è l’augurio che vor­rei fare, per­ché spe­ra­va­mo che la resi­sten­za fos­se fini­ta e si potes­se lavo­ra­re sull’andare avan­ti. Però è l’au­gu­rio che mi sem­bra sia richie­sto dai tem­pi e dal cli­ma poli­ti­co, nazio­na­le, euro­peo e glo­ba­le. E, tor­nan­do all’i­ni­zio, sono mol­to gra­ta di esse­re qui a resi­ste­re con voi. Insieme.

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