I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La strategia del capitalismo è quella di atomizzare le rivendicazioni, metterci gli uni contro gli altri, individuare un nemico invisibile su cui sviare l’attenzione, sostituire la lotta collettiva con tante lotte individuali che, proprio per questo, sono più deboli e più facili da mettere a tacere. Ma la grande partecipazione allo sciopero del 13 dicembre dimostra che la dimensione collettiva della nostra lotta, delle nostre rivendicazioni, non è perduta.

Vener­dì 13 dicem­bre ho scio­pe­ra­to insie­me alle lavo­ra­tri­ci e ai lavo­ra­to­ri metal­mec­ca­ni­ci per il man­ca­to rin­no­vo del con­trat­to col­let­ti­vo nazio­na­le e per la con­tro-piat­ta­for­ma pro­po­sta da Feder­mec­ca­ni­ca e Assi­stal con il solo e uni­co sco­po di far sal­ta­re il tavo­lo del­le trattative.

I padro­ni dico­no di no a ogni aumen­to retri­bu­ti­vo, in un pae­se in cui i sala­ri sono fer­mi da 30 anni: secon­do i dati di Open­po­lis, nel 2020 l’Italia è sta­to l’unico Pae­se in Euro­pa in cui i sala­ri non sono cre­sciu­ti rispet­to al 1990. In Spa­gna, Fran­cia, Ger­ma­nia sono aumen­ta­ti, da noi inve­ce no. Anzi, sono dimi­nui­ti. Gli aumen­ti retri­bu­ti­vi sono inve­ce pre­vi­sti per i diri­gen­ti di indu­stria nel nuo­vo con­trat­to col­let­ti­vo appe­na fir­ma­to.

Dico­no di no alla richie­sta di non assor­bi­men­to dei super­mi­ni­mi indi­vi­dua­li in caso di aumen­ti sala­ria­li deri­van­ti dal CCNL, andan­do quin­di a nega­re uno dei pochi stru­men­ti a dispo­si­zio­ne di lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci con­tro la per­di­ta di pote­re d’acquisto deri­van­te dall’inflazione. Al tem­po stes­so, Ammi­ni­stra­to­ri Dele­ga­ti e top mana­ger arri­va­no a gua­da­gna­re oltre 300 (!) vol­te il sala­rio dell’operaio medio. Vie­ne chia­ma­to “Fat Cat day” il gior­no in cui i gran­di mana­ger arri­va­no a per­ce­pi­re il cor­ri­spet­ti­vo di quan­to gua­da­gna­no in media in un anno i lavo­ra­to­ri alle loro dipen­den­ze: nel 2024 in Ita­lia que­sto tra­guar­do si è rag­giun­to il 6 gen­na­io, cioè dopo soli 6 gior­ni dall’inizio dell’anno. Que­sta dispa­ri­tà nei com­pen­si con­tri­bui­sce ad ali­men­ta­re una situa­zio­ne di disu­gua­glian­za eco­no­mi­ca non più tol­le­ra­bi­le, dove i ric­chi sono sem­pre più ric­chi e tut­ti gli altri fati­ca­no per arri­va­re alla fine del mese.

I padro­ni dico­no di no a qua­lun­que for­ma di spe­ri­men­ta­zio­ne sul­la ormai neces­sa­ria ridu­zio­ne dell’orario di lavo­ro a pari­tà di sala­rio, un ora­rio con­ce­pi­to su un’idea desue­ta di nucleo fami­lia­re e che non con­sen­te più di con­ci­lia­re tem­po di lavo­ro e tem­po di vita, soprat­tut­to per le lavo­ra­tri­ci sui cui anco­ra oggi gra­va mag­gior­men­te il cari­co del lavo­ro di cura non retribuito.

No a con­trat­ti più sta­bi­li e, quin­di, alla lot­ta alla pre­ca­rie­tà, che col­pi­sce soprat­tut­to le per­so­ne gio­va­ni ali­men­tan­do­ne la disil­lu­sio­ne ver­so il futu­ro ed esclu­den­do­le di fat­to dal­la pos­si­bi­li­tà di par­te­ci­pa­re pie­na­men­te alla vita eco­no­mi­ca, socia­le, e poli­ti­ca del paese.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne a que­sto scio­pe­ro dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni non è per­du­ta. Che la voce che chie­de sala­ri più alti, mag­gio­ri tute­le, miglio­ri equi­li­bri fra tem­pi di lavo­ro e tem­pi di vita è una sola. Ed è mol­to forte.

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I padroni dicono di no a tutto. E per questo scioperiamo.

La stra­te­gia del capi­ta­li­smo è quel­la di ato­miz­za­re le riven­di­ca­zio­ni, met­ter­ci gli uni con­tro gli altri, indi­vi­dua­re un nemi­co invi­si­bi­le su cui svia­re l’attenzione, sosti­tui­re la lot­ta col­let­ti­va con tan­te lot­te indi­vi­dua­li che, pro­prio per que­sto, sono più debo­li e più faci­li da met­te­re a tacere.
Ma la gran­de par­te­ci­pa­zio­ne allo scio­pe­ro del 13 dicem­bre dimo­stra che la dimen­sio­ne col­let­ti­va del­la nostra lot­ta, del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non è perduta.

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