Non è la prima volta che persone italiane vengono detenute, senza motivo ufficiale o con accuse pretestuose, da governi illiberali.
Sono sempre le persone che secondo alcuni “se la vanno a cercare”, che si trovano in quei paesi per documentare ciò che accade o per aiutare chi ha bisogno.
A quanto pare, ciò che viene chiesto in cambio della scarcerazione sua e di altre sei persone italiane o italo-venezuelane detenute (tra cui un giornalista) è il riconoscimento da parte del governo italiano della legittimità di Maduro, un riconoscimento mai espresso dal governo italiano dopo le elezioni di luglio 2024.
Alberto lavora con Humanity and Inclusion, una ONG co-vincitrice di un Nobel per la Pace, che si occupa di diritti e aiuta in particolare le persone disabili. Dopo il suo arresto lo scorso novembre, senza un’accusa esplicita e senza consentirgli di parlare con la sua famiglia e di organizzare una difesa, la sua ONG si è rivolta alla Convenzione interamericana per la sparizione forzata di persone, che ha chiesto conto al governo venezuelano, senza ricevere alcuna risposta.
La Farnesina dichiara di star seguendo la vicenda, e di recente il Venezuela ha fornito una prova di esistenza in vita di Alberto. L’avvocata della famiglia, la stessa della famiglia Regeni, ha potuto scoprire alcuni dettagli sulla sua detenzione.
Dopo gli appelli della madre di Alberto, è stata avviata una petizione (https://www.change.org/p/per-il-ritorno-a-casa-di-alberto-trentini) e i social media hanno accresciuto la loro attenzione al caso facendo circolare gli hashtag #Albertolibero | #FreeAlberto | #NotATarget e tramite l’iniziativa #albertowallofhope, mosaico digitale di selfie con cartelli per Alberto.
Le persone non sono pedine geopolitiche. Chiediamo a gran voce la liberazione di Alberto, uniamoci alla mobilitazione.