A Expo dovremmo parlare anche di schiavitù

Ini­zia con que­sto post una bre­ve ras­se­gna sin­te­ti­ca di alcu­ni con­tri­bu­ti pre­sen­ti in Expo del­la digni­tà, che nel testo pote­te tro­va­re in for­ma (mol­to) più este­sa ed approfondita.

Comin­cia­mo da una que­stio­ne che è mol­to più vici­na di quan­to cre­dia­mo, sia in ter­mi­ni geo­gra­fi­ci che in ter­mi­ni socia­li, per­ché tut­te le vol­te che acqui­stia­mo pro­dot­ti agri­co­li dovrem­mo chie­der­ci chi sta all’inizio del­la cate­na pro­dut­ti­va. Sì, stia­mo par­lan­do del brac­cian­ta­to, il tema cen­tra­le del­lo scrit­to di Davi­de Mat­tiel­lo e Mar­co Omiz­zo­lo, i qua­li ne han­no fat­to un ritrat­to duris­si­mo, frut­to di ana­li­si, ricer­che e ispe­zio­ni con­dot­te – in nume­ro­si casi – diret­ta­men­te sul campo.

La rela­zio­ne tra brac­cian­ta­to, for­me di schia­vi­smo e sfrut­ta­men­to, truf­fe, vio­len­ze e pro­du­zio­ne agri­co­la è ormai siste­mi­ca; una par­te sem­pre più rile­van­te del­la pro­du­zio­ne agri­co­la è fon­da­ta sull’impiego di schia­vi costret­ti a lavo­ra­re e vive­re in con­di­zio­ni disumane.

Mat­tiel­lo e Omiz­zo­lo comin­cia­no così, con una paro­la ben pre­ci­sa: “schia­vi”, e quin­di di una pra­ti­ca, quel­la del­la schiavitù:

Un pez­zo rile­van­te dell’agricoltura ita­lia­na, anche par­te di quel­la più di qua­li­tà, è fon­da­ta sul­lo sfrut­ta­men­to dell’uomo sull’uomo e l’ambiente. La schia­vi­tù non è spa­ri­ta in Ita­lia, abbia­mo sem­pli­ce­men­te smes­so di veder­la, inglo­ba­ta nel model­lo di pro­du­zio­ne. Una pra­ti­ca quo­ti­dia­na nel­la qua­le sono costret­ti, alme­no secon­do la Flai-Cgil, cir­ca 400mila lavo­ra­to­ri agri­co­li, di cui più dell’80% stra­nie­ri. Men­tre sono sicu­ra­men­te 100mila quel­li che vivo­no una gra­ve con­di­zio­ne di sfrut­ta­men­to lavo­ra­ti­vo, oltre al gra­ve disa­gio abi­ta­ti­vo e igie­ni­co-sani­ta­rio: il 62% dei lavo­ra­to­ri stra­nie­ri impe­gna­ti nel­le sta­gio­na­li­tà agri­co­le non ha acces­so ai ser­vi­zi igie­ni­ci, il 64% non ha acces­so all’acqua cor­ren­te, e il 72% dei lavo­ra­to­ri che si sono sot­to­po­sti ad una visi­ta medi­ca dopo la rac­col­ta pre­sen­ta malat­tie che pri­ma dell’inizio del­la sta­gio­na­li­tà non si era­no manifestate.

Il capo­ra­la­to ha alcu­ne rego­le non scrit­te che resti­tui­sco­no la dimen­sio­ne del feno­me­no. La metà del sala­rio va diret­ta­men­te ai capo­ra­li. La quo­ta di red­di­to sot­trat­ta dai capo­ra­li ai lavo­ra­to­ri si atte­sta attor­no al 50% del­la retri­bu­zio­ne pre­vi­sta dai con­trat­ti nazio­na­li e pro­vin­cia­li di set­to­re. I lavo­ra­to­ri per­ce­pi­sco­no un sala­rio gior­na­lie­ro tra i 25 e i 30 euro, per una media di 10–12 ore di lavo­ro. I capo­ra­li impon­go­no anche le pro­prie tas­se gior­na­lie­re ai lavo­ra­to­ri: 5 euro per il tra­spor­to sui cam­pi, 3,5 euro per un pani­no e 1,5 euro per ogni bot­ti­glia d’acqua con­su­ma­ta. In alcu­ni casi fan­no paga­re anche il fit­to degli allog­gi fati­scen­ti in cui sti­pa­no i braccianti.

Situa­zio­ni di sfrut­ta­men­to che si affian­ca­no a vere e pro­prie vio­len­ze e minac­ce per­pe­tra­te dal “padro­ne” — una paro­la non usa­ta a caso, dato che spes­so è il capo­ra­le a impor­re per se stes­so que­sto appellativo.

Quan­to sia rile­van­te que­sto pez­zo dell’agricoltura ita­lia­na ce lo rac­con­ta­no i nume­ri: «in Ita­lia – scri­vo­no Mat­tiel­lo e Omiz­zo­lo — sono alme­no 80 i distret­ti agri­co­li in cui si pra­ti­ca il capo­ra­la­to: in 33 si sono riscon­tra­te con­di­zio­ni di lavo­ro inde­cen­ti, in 22 di lavo­ro gra­ve­men­te sfrut­ta­to, negli altri si con­su­ma “solo” l’intermediazione ille­ci­ta di mano­do­pe­ra». Situa­zio­ni che rara­men­te ven­go­no alla luce e che ancor più rara­men­te sono ogget­to di denunce.

La regia, ovvia­men­te, non pote­va che esse­re di “Mafia SPA”: sono infat­ti 27 i clan mala­vi­to­si che han­no come set­to­re di busi­ness le agro­ma­fie, e le inda­gi­ni con­dot­te in que­sti ulti­mi anni non fan­no che con­fer­ma­re que­sta situazione.

A que­sto pun­to dovrem­mo pro­se­gui­re con le solu­zio­ni. Che sono pre­ci­se e tec­ni­che, e riguar­da­no diret­ta­men­te l’ordi­na­men­to giu­ri­di­co del nostro Pae­se. Que­ste stes­se pro­po­ste tro­va­no spa­zio nel­la nostra pub­bli­ca­zio­ne, e avreb­be­ro dovu­to tro­var­lo anche nel dibat­ti­to attor­no a Expo, quin­di nel­le ini­zia­ti­ve legi­sla­ti­ve e cul­tu­ra­li seguen­ti. Dibat­ti­to e ini­zia­ti­ve in cui la paro­la “schia­vi­tù” avreb­be dovu­to esse­re pre­sen­te, così come è anco­ra pre­sen­te, ai gior­ni nostri, in Ita­lia.

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