[vc_row][vc_column][vc_column_text]Saremo a Roma il 6 ottobre, perché una manifestazione di piazza, unitaria, che ha nel suo stesso nome il binomio cultura e lavoro, è oggi necessaria. Necessaria perché siamo convinti che la cultura, questo valore così grande, così ampio, debba uscire dal dibattito allo stesso tempo retorico e cinico in cui è stata confinata per decenni.
“La cultura è il petrolio dell’Italia (però) con la cultura non si mangia…”.
“La cultura ci salverà tutti (però) è cosa da intellettuali…”.
Ecco, la cultura deve riappropriarsi del modo in cui se ne parla, a partire da chi lavora in questo ambito, in ogni forma, per poter vivere, anziché sopravvivere, e per poter costituire per tutte e tutti quel patrimonio di bellezza, memoria, inclusione, speranza e di orgoglio da condividere, invece che da brandire gli uni contro gli altri.
Ma la cultura ha anche bisogno di liberarsi degli stereotipi, a partire da quello secondo cui chi ci lavora, alimentando e facendo funzionare un settore che è uno dei pochi economicamente in crescita, lo faccia per passione, per hobby, o perché non ha bisogno di un “lavoro vero”. Che il volontariato o una delle varie tipologie di lavoro non pagato possa sostituire un professionista, perché tanto basta mettere a disposizione tempo e buona volontà. I professionisti dei beni culturali ricoprono ruoli molto diversi, e hanno, quando li hanno, trattamenti economici e contrattuali molto diversi tra loro: questo ha reso difficile presentare delle rivendicazioni unitarie, per questo è ancora più importante che la manifestazione del 6 ottobre riunisca così tante tipologie di lavoratori (senza ovviamente dimenticare gli studenti, avviati su percorsi di studi che già portano in sé le criticità a venire). Molti di loro non hanno perso le tutele per colpa dei cambiamenti nel mondo del lavoro: molti non le hanno mai avute, ed è il momento che le cose cambino, per tutti.
Questa manifestazione non riguarda però soltanto i lavoratori e i loro diritti, riguarda tutto il paese, da Nord a Sud.
In qualche modo, soprattutto a Sud: se a rigor di cronaca il dualismo fra Nord e Sud della nostra penisola resta accentuato, peggiorando di anno in anno, ancor di più lo è per il settore dei beni culturali. Pochi e rarissimi sono gli esempi tutela e valorizzazioni, di grandi realtà museali (in primis a Napoli e a Taranto), il resto è solo un vano vanto di simboli cristallizzati nel territorio senza alcuna vera tutela. A seguito della riforma operata da Franceschini, sono molte le biblioteche, gli archivi ed i musei che resistono con pochissimo personale, loro malgrado. La precarietà di un sistema di infrastrutture (ancora) fantasma, ha ripercussioni su quella che potrebbe essere una meno disagiata fruibilità per studenti che viaggiano verso gli atenei universitari dalle tasse sempre più alte per via dei continui tagli.
Al Sud si parla sempre da tanto di “ripartire dal turismo” che, pur essendo ormai fuori dal “nostro” ministero, riguarda ugualmente i beni culturali. Pensiamo a Matera che il prossimo anno sarà capitale della cultura europea che, senza nemmeno una stazione ferroviaria, dovrà far i conti con presenze cinque o sei volte maggiori delle attuali. Presenze che pongono già delle criticità in altri luoghi, come Venezia, dove le infrastrutture stanno fagocitando l’identità e il territorio della città, spingendo a una fruizione e a un approccio dei beni culturali “di massa”. E generando la richiesta non di professionisti dei beni culturali, ma di personale da “parco dei divertimenti”.
Pensiamo a beni paesaggistici succubi, in particolar modo al Sud, del vergognoso abusivismo che quasi “caratterizza” i nostri orizzonti.
Pensiamo alla pesantissima eredità industriale che quanto e più dell’abusivismo nostrano, ha devastato il nostro territorio, la natura e la salute dei cittadini.
Pensiamo a quanto potremmo ricostruire, riabilitare e bonificare: quanto e quanto lavoro potrebbe offrire la nostra terra culla di cultura e culture oggi spaesata, dispersa e obliata.
Appuntamento a Roma il 6 ottobre, insieme per l’articolo 9.
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