Ieri, nel corso di un’intervista su Sky Tg 24, la Ministra all’Istruzione Azzolina ha annunciato a sorpresa (dello stesso Parlamento) lo scenario più probabile allo studio della Task Force per la ripresa della scuola da settembre. Non doppi turni, ha specificato, ma classi divise: tre giorni una metà di alunni saranno fisicamente in aula e l’altra metà collegata online, gli altri tre giorni si scambieranno. Detta così, la proposta non funziona, per una serie di questioni che la Ministra dovrebbe conoscere bene, da docente. La prima è che è impossibile interagire con un gruppo in presenza e contemporaneamente con quello a casa: insegnanti multitasking sì, ma qui si esagera. La didattica a distanza non può essere limitata alla fruizione passiva di una lezione ad altri, non può escludere domande e approfondimenti dei singoli. Sennò è come guardare un film, con compagni e insegnanti come protagonisti. Nemmeno alternare i gruppi a giorni funziona, se pensiamo agli insegnanti con una o due ore per classe, ma a questo, nel caso, è il minore dei problemi, si può ovviare con alternanze settimanali. La DAD deve prevedere, per essere efficace, una diversa preparazione delle lezioni e dei materiali: non è sovrapponibile alla didattica in presenza né per i contenuti né per i tempi che sono più brevi. E a proposito di tempi, non è pensabile che il gruppo a casa stia davanti a uno schermo 5/ 6 ore al giorno, sarebbe deleterio sia per la salute che per gli apprendimenti. Da non trascurare, poi, la questione delle telecamere in classe: non sono consentite, lo abbiamo spiegato tutti insieme a Salvini quando parlava di “sicurezza” a modo suo, e nemmeno in emergenza si può ignorare la delicatissima questione legata alle riprese di insegnanti e di minori, alcuni con disabilità o comportamenti desueti che diverrebbero oggetto di giudizio delle famiglie. La soluzione non è facile da trovare, ma l’impressione è che si continui a progettare come se fossimo ancora nella prima fase di emergenza e non dovessimo decidere, invece, come sarà la scuola italiana per un lasso di tempo medio — lungo. Crediamo si debba ragionare su due piani: quello pedagogico e quello dell’efficacia didattica, entrambi all’insegna della sicurezza sanitaria. Forse allora la prima cosa da fare è distinguere gli alunni e le alunne per fascia d’età e per ordine e grado di istruzione, non si possono immaginare le stesse soluzioni per bambine e bambini della scuola d’infanzia e primaria e per studenti delle scuola secondaria di primo e secondo grado. La ministra sembra avere in mente solo soluzioni adatte a studenti grandi, autonomi nel metodo di studio e nell’utilizzo degli strumenti tecnologici: manca totalmente una prospettiva per i più piccoli che in questi mesi, se hanno avuto la fortuna di avere un contatto con la scuola, lo hanno fatto con l’assistenza continua della famiglia. E non si parla affatto di studenti con disabilità, per i quali occorre prevedere soluzioni efficaci che consentano di realizzare i piani educativi previsti per ciascuno. Bambine e bambini hanno la necessità di costruire relazioni con adulti e compagni a scuola, perché la fisicità è parte integrante della formazione della persona. Per farli tornare a scuola a settembre, però, le scuole già oggi dovrebbero pullulare di adulti che progettano spazi, ricavano e spostano aule, anche per piccoli gruppi. Professionisti dell’edilizia e della scuola che lavorano insieme a rappresentanti degli enti locali. Ci sono tanti spazi cittadini da riadattare per fare scuola: vanno censiti, sistemati e messi a norma per accogliere le attività didattiche. La costruzione di moduli prefabbricati è un’altra possibile strada da percorrere, come tante volte è accaduto in tempi record in occasione dei terremoti e come si sta facendo in queste settimane sul piano sanitario con gli ospedali da campo. Il reclutamento degli insegnanti — e ne serviranno tantissimi, specie se si renderà necessario proseguire anche solo in parte con la DAD per i più grandi e per prevedere la compresenza per i più piccoli — deve rispondere a criteri d’emergenza, così come è stato per quello dei medici. Un concorso con prove in presenza, durante la pandemia, non è pensabile, né per il rischio sanitario che comporterebbe far muovere 300000 candidati su e giù per il Paese, né per i tempi ristretti che non consentirebbero di avere in cattedra gli insegnanti a settembre. Data l’emergenza occorre digitalizzare la procedura per le graduatorie d’Istituto senza perdere altre settimane preziose e rivedere i bandi concorsuali, prevedendoli per titoli ed esami, con formazione in itinere ed esame orale a fine anno di prova. C’è bisogno di tanti insegnanti, dicevamo, ma per assumerli ci vogliono risorse. Secondo la Cisl Scuola, assumere a tempo determinato per 10 mesi il personale necessario per l’organico di scuola d’infanzia e primaria costerebbe 3 miliardi, a cui aggiungere i costi del personale ATA e gli altri ordini di scuola. Ci auguriamo che i tavoli di esperti rispondano al più presto chiarendo alcuni aspetti che oggi risultano in contraddizione: mentre il presidente della task force Patrizio Bianchi parla di classi di 10- 12 alunni, la Ministra ha detto chiaramente che non prevede un raddoppio degli organici. Nell’attesa, una cosa è certa: anche per il rientro a scuola, come chiediamo da settimane per tutto il resto, non si potrà prescindere da un uso capillare dei tamponi per testare le persone e isolare quelle positive al Coronavirus. Sono indispensabili, soprattutto alla luce del fatto che riaprire le scuole significherà movimentare ogni giorno dodici milioni di persone, tra studenti, personale e famiglie.
Congresso 2024: regolamento congressuale
Il congresso 2024 di Possibile si apre oggi 5 aprile: diffondiamo in allegato il regolamento congressuale elaborato dal Comitato Organizzativo.