[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il 18 gennaio 2018 è stata pubblicata la relazione annuale del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 194/1978, contenente i dati relativi all’anno 2017.
Alcuni dei dati indicano trend positivi, come la riduzione del ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2017 il tasso di abortività, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera come l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all’IVG, è risultato pari a 6.2 IVG per 1000 donne in età 15–49 anni (nel 1983 l’indicatore era pari a 16.2 IVG per 1000 donne).
Va considerato che sulla riduzione delle IVG ha inciso sicuramente l’uso e la diffusione dei metodi contraccettivi di emergenza, come la pillola del giorno dopo e la mitica pillola dei cinque giorni dopo, che non hanno più l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni. Resta indubbio che, per tutelare la salute delle donne – in particolare delle più giovani – sarebbe importante che alla diffusione di questi farmaci fosse affiancata da un’adeguata campagna di informazione, sia circa la possibilità di ricorrere a questi farmaci, sia circa il loro corretto utilizzo.
Un aspetto importante del rapporto è quello legato però al fenomeno dell’aborto clandestino:
“Per quanto riguarda l’abortività clandestina l’Istituto Superiore di Sanità ha effettuato a partire dal 1983 delle stime basate su modelli matematici utilizzati a livello internazionale. L’ultima si riferisce al 2012 che, pur tenendo conto dei limiti del modello legati principalmente alle modifiche avvenute nel Paese per quanto riguarda la composizione della popolazione […], ha stimato un numero di aborti clandestini per le donne italiane compreso nell’intervallo tra 12˙000 e 15˙000. Per la prima volta si è effettuata una stima anche per le donne straniere che è risultata compresa tra 3˙000 e 5˙000 aborti clandestini, per quanto in questo caso gli aspetti critici da un punto di vista metodologico siano ancora più rilevanti. Le stime indicano una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni per quanto riguarda le italiane (15˙000 erano gli aborti clandestini stimati per le italiane nel 2005) e una notevole diminuzione rispetto agli anni 80–90 (100˙000 erano i casi stimati per il 1983, 72˙000 nel 1990 e 43˙500 nel 1995).”
Stando ai dati 2012 quindi, circa un terzo delle donne che ricorrono all’aborto clandestino sono straniere. In generale – la relazione del Ministero ci conferma ampiamente questo dato – il ricorso all’aborto subisce variazioni in base al grado di scolarizzazione delle donne (nel trentennio 1981/2011 il tasso di abortività è diminuito tra le donne con il diploma di scuola superiore o laurea — da 14 per 1000 nel 1981 a 6 per 1000 nel 2011- mentre è rimasto costante tra quelle con diploma di scuola media inferiore dal 1991 dopo un’iniziale diminuzione). Sappiamo inoltre che in Italia il titolo di studio è un importante indicatore di condizione sociale, ed è facile pertanto concludere che sono le fasce più deboli della popolazione femminile ad essere esposte al rischio di dover ricorrere all’aborto e che è nostro dovere batterci perché l’aborto clandestino non sia più una delle opzioni da valutare per nessuna donna.
Eppure sappiamo, dati alla mano, che il diritto all’autodeterminazione e il diritto alla salute della donna è ostacolato ancora nel nostro Paese quando si entra nel campo dell’interruzione volontaria di gravidanza. Ce lo dicono i dati, che evidenziano come il 70% dei ginecologi siano obiettori (con punte oltre il 90% in alcune regioni). Ce lo dicono il fiorire di iniziative da parte di solerti Consiglieri e Consigliere comunali che presentano mozioni pro-life nelle nostre città (come a Verona, laboratorio della destra antifemminista e omofoba del ministro Fontana, ma dove i provvedimenti hanno ricevuto un inquietante appoggio bipartisan). Ce lo dicono fatti di cronaca che vorremmo fossero scene di film grotteschi, e non la realtà: come il recente caso di una ragazza di origine nigeriana di ventidue anni che, dopo aver rischiato la vita per aver abortito clandestinamente, si è vista sanzionare una multa di oltre 3000 euro per essersi procurata farmaci abortivi illegalmente, sulla scorta di una legge del 2016.
Ancora, la colpa è della vittima, la colpa è della donna.
Come si esce da questo orizzonte di dolore e marginalizzazione?
Molte sono le iniziative che sono state messe in campo. In Parlamento nel 2016 sono state presentate due proposte di legge da Possibile, con come primi firmatari Beatrice Brignone e Giuseppe Civati, per garantire la piena applicazione della legge 194: per quanto riguarda l’obiezione, “chi sceglie di specializzarsi in ginecologia e ostetricia dovrebbe sapere bene che tra i suoi compiti ci sono anche quelli previsti dalla legge n. 194 del 1978 in ogni sua parte”; mentre rimane necessario “garantire la dispensazione dei farmaci contraccettivi di emergenza”.
In questi mesi, invece, in Lombardia è nata la campagna Aborto al Sicuro, a cui Possibile ha aderito e per cui si stanno raccogliendo firme in molti comuni. Si tratta di una proposta di legge di iniziativa popolare rivolta alla Regione Lombardia, che si riassume in 10 punti chiave, tra cui il potenziamento e l’ampliamento dei compiti dei consultori, adeguata formazione del personale medico, diffusione della contraccezione.
Importantissimo è infatti il ruolo dei consultori, troppo spesso bistrattati e snobbati, che invece rappresentano un presidio fondamentale per la difesa della salute della donna e per un’adeguata informazione. I decrementi osservati nei tassi di abortività sembrano indicare come siano soprattutto gli sforzi fatti dai consultori familiari per aiutare a prevenire le gravidanze indesiderate ed il ricorso all’IVG ad aver dato i loro frutti, anche tra le fasce di popolazione più vulnerabili. È quindi indispensabile rafforzare e potenziare questi servizi di prossimità, come la proposta di legge prevede.
E a chi ribatte che la legge sull’aborto esiste già, e che non sono necessari altri provvedimenti, ricordate alcuni dei dati sugli aborti clandestini o sulle percentuali dei medici obiettori. Per la Lombardia, a cui si rivolge per ora la proposta di legge regionale, erano una media del 66,1% nel 2017 (il 100% in cinque ospedali e sopra l’80% in altre undici strutture). E a chi li minimizza, ricordate il nome della rete Non Una di Meno. Perché nemmeno una donna deve rischiare la vita per abortire. E nemmeno una donna deve essere costretta a fare una vita che non vuole.
Qui tutti i punti della proposta di legge:
- Le informazioni (procedure, accesso ai servizi) sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) saranno comprensibili, esaustive e facili da reperire anche online e per telefono.
- Qualunque consultorio o ambulatorio regionale potrà prendere appuntamenti in ogni territorio regionale, senza imporre alla donna estenuanti ricerche o code.
- Le attività, la qualità dei servizi e la loro omogeneità sul territorio saranno monitorate annualmente e sarà promossa l’implementazione e una maggiore efficienza dei servizi, ove necessario.
- I consultori familiari diventeranno i primari coadiutori delle attività ospedaliere per la fruizione dei servizi di IVG e saranno riqualificati per: fornire migliore assistenza (anche grazie all’eventuale potenziamento delle attrezzature) e partecipare ad alcune fasi delle procedure di IVG (es. aborto farmacologico, oltre alla certificazione).
- Tutte le strutture ospedaliere garantiranno la gestione dei casi urgenti in tempi brevi e certi.
- Sarà eliminato l’obbligo di ricovero per l’IVG farmacologica grazie a day hospital a più accessi, e si potranno svolgere alcune fasi della procedura anche presso il consultorio.
- Le strutture accreditate per le prestazioni di procreazione medicalmente assistita e di diagnosi prenatale dovranno assicurare continuità terapeutica alle donne che richiedano l’aborto in esito a diagnosi di anomalie fetali o di rischi per la paziente, accompagnando la donna nelle proprie scelte.
- Le donne che richiedono l’IVG riceveranno, durante o subito dopo la seduta, una consulenza contraccettiva e, se richiesto, saranno forniti e/o applicati gratuitamente contraccettivi (inclusi quelli a lungo termine) presso l’ospedale.
- Alle donne che non riescono a reperire farmaci contraccettivi di emergenza sarà fornita assistenza per immediato reperimento.
- La Regione istituisce e finanzia corsi di formazione e di aggiornamento sulle tecniche chirurgiche e farmacologiche di interruzione della gravidanza, sulla contraccezione, nonché su tematiche epidemiologiche, psicologiche e sociologiche correlate.
Benedetta Rinaldi[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]