Nella calda estate ai tempi del Covid-19, il basso varesotto si è trovato di fronte al nuovo progetto di espansione dell’aeroporto di Malpensa.
Mentre in tutto il mondo ci si confronta, si discute su come ripartire e come evitare di commettere gli stessi errori che ci hanno portato dritti alla pandemia, in provincia di Varese (e non solo) si progettano strade, bretelle autostradali, ferrovie e una rete di infrastrutture direttamente o indirettamente legate all’aeroporto di Malpensa.
Come se non fosse successo nulla, come se i mesi di chiusura e soprattutto le cause di tutto questo non fossero da ricercarsi nello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali con la relativa distruzione degli habitat.
E tutto questo a scapito del Parco del Ticino e di un territorio fortemente antropizzato e urbanizzato.
Il progetto prevede di realizzare una serie di infrastrutture interne ed esterne al sedime aeroportuale con l’obiettivo di raggiungere nel 2035 nella migliore – per il proponente — delle ipotesi 45.997.497 di passeggeri/anno e nella peggiore 40.937.608 passeggeri/anno e 1.408.371 tonnellate/anno e nella peggiore 1.173.462 tonnellate/anno di merci.
L’attuale sedime aeroportuale di 1.220 ettari a SEA non basta più, ma dovrà espandersi verso sud per circa 90 ettari (60 dove verranno realizzate le strutture e 30 vincolati a futuri sviluppi infrastrutturali) per sostenere e potenziare il sistema cargo, andando di fatto a costruire due nuovi piazzali per i cargo, tre moduli magazzini cargo di prima linea e tre edifici di supporto alla logistica nella zona della brughiera.
Una zona naturalisticamente rara, unica e importante per la biodiversità che merita invece di essere ulteriormente studiata. Questa zona ha tutte le caratteristiche scientifiche per essere un Sito di Interesse Comunitario e il Parco del Ticino nel lontano 2011 ha chiesto a Regione Lombardia, competente in materia, di attivare la procedura per il riconoscimento. Regione Lombardia dal canto suo, invece, non ha mai preso in considerazione questa proposta visto che da sempre ha sostenuto lo sviluppo incontrollato di Malpensa.
Tutto questo progetto è contenuto in 36 documenti per migliaia di pagine su cui cittadini, associazioni, comitati ed enti locali sono chiamati a proporre delle osservazioni o esprimere dei pareri, visto che è stata attivata la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale V.I.A.
Sulla carta questa cosa viene definita come “partecipazione del pubblico” al processo decisionale.
Durante il periodo di chiusura, il Governo è intervenuto con propri decreti per prolungare i tempi di alcune procedure amministrative o ha allungato i tempi per alcune procedure autorizzative sia in capo ai Comuni (come l’approvazione di una variante al Piano di Governo del Territorio per fare un esempio) sia in capo ad altri enti.
Su Malpensa invece nessuna proroga e poco importa se le conseguenze ambientali derivanti dalla realizzazione del progetto comporteranno consumo di suolo, distruzione di habitat naturali, perdita di biodiversità, distruzione di rete ecologica, aumento di inquinamento atmosferico e inquinamento acustico.
Un bel mix su cui “chiunque” appunto potrebbe fare osservazioni, avendo soprattutto il tempo per poter leggere la voluminosa e assolutamente poco chiara documentazione.
Parlavamo di partecipazione e, appunto… questa non è partecipazione. In questi decenni, sempre su Malpensa (ma possiamo anche sostituire con altri progetti) le popolazioni si sentono sempre ripetere «il territorio verrà ascoltato, inizieremo un dialogo proficuo con voi, sarete coinvolti, sarete ascoltati, ascolteremo le vostre proposte». Parole, parole e parole che sono state ripetute e disattese tantissime volte che ormai hanno perso ogni credibilità così come chi le pronuncia.
“Partecipazione” e “Sviluppo sostenibile” sono due tra le parole di cui si abusa di più. O meglio se ci fermiamo alle parole le troviamo citate dappertutto. Non c’è decreto, programma politico che non citi questi due termini. Però ci accontentiamo di leggerle e basta. Ci basta sapere che sono scritte. Ma qui sta l’errore! Non possiamo più fermarci alle parole. Dobbiamo dare un seguito, fare azioni, mettere in moto meccanismi, cervelli e azioni. E invece no, ci fermiamo sempre alle parole. Al suono delle stesse. Senza accorgerci che le parole hanno una vita e che la vita stessa non è qualcosa di statico ma in movimento.
Eppure i cittadini sono stanchi delle parole, vogliono fatti e soprattutto vogliono decidere per quanto riguarda il futuro del territorio dove vivono e anche del futuro del mondo. Si organizzano i ragazzi dei FFF, scendono in piazza, dicendo di non escluderli dalle decisioni che riguardano il futuro di questo mondo. Ma nello scendere in piazza, c’è anche l’azione volontaria di partecipazione alla vita politica, sociale e ambientale del nostro paese.
Per fare questo però c’è bisogno di rispetto per i territori e per le popolazioni. E il rispetto manca se si fa partire una procedura di V.I.A. in una situazione come quella che stiamo vivendo con le amministrazioni comunali impegnate a riprendere i ritardi amministrativi causati dalla chiusura degli scorsi mesi; manca il rispetto se decidi che nei mesi estivi pretendi che la popolazione partecipi ad una procedura amministrativa.
Il progetto è da rispedire al mittente e va completamente ripensato all’interno di una visione complessiva del Piano nazionale dei Trasporti, visto che ormai treno e aereo si fanno concorrenza ha poco senso immaginare sviluppi differenziati e in concorrenza tra loro.
E anche sulla partecipazione c’è molto ancora da fare. La Convenzione di Aarhus è ben lontana dall’essere applicata seriamente.
Immaginare e lavorare per un futuro amico e sostenibile, rispettoso delle generazioni future passa attraverso il ripensamento dei processi di partecipazione dei cittadini. Soprattutto nelle procedure dove si va a trasformare irrimediabilmente un territorio e la qualità della vita dei suoi abitanti.
Walter Girardi — Comitato Scientifico di Possibile