Dalla lettura del IX Censimento Istat su Industria e Servizi emerge chiaramente una tendenza: il settore no-profit, nel decennio 2001–2011, è cresciuto sia in termini di unità attive che di addetti impiegati nel settore. Le unità attive sono incrementate del 28% mentre il numero degli addetti coinvolti del 39%. E’ interessante notare che il numero medio di addetti per unità attiva è passato da 2.08 a 2.27, dato che descrive bene la polverizzazione del settore (circa 300 mila unità contro le 12 mila della PA).
Il settore pubblico, invece, decresce nel numero di unità (-22%) in misura più che proporzionale alla decrescita degli addetti (-12%); la dimensione media delle unità nella Pubblica Amministrazione resta dunque alta (233 addetti).
Questo breve excursus nei numeri serve per porre l’attenzione, se ancor ce ne fosse bisogno, alla dinamica di riduzione della spesa per la PA e la contemporanea delega al mercato per le aree nelle quali il servizio pubblico è scarso o inefficiente. I numeri dicono che parte di questa surroga viene ottenuta dal coinvolgimento di un esercito di volontari. L’indagine ISTAT dimostra come il settore pubblico abbia praticamente tralasciato questo importante contributo (i volontari della PA sono scesi del 57% e in termini assoluti sono un numero trascurabile, circa 60 mila), il quale però è fortemente attratto dal settore no-profit. L’impegno del volontariato nel no-profit è infatti cresciuto del 43%; si tratta di un fattore dell’ordine di circa 1 milione di persone su quattro complessivi.
La ristrutturazione della PA nel corso dell’ultimo decennio era orientata, più che altro, alla mera riduzione di spesa mentre poco si è fatto in termine di recupero di efficienza. La scarsità di risorse fa da specchio al mancato impiego dei fondi europei. Ci sono circa 16 miliardi di euro dei fondi strutturali dell’Unione Europea che aspettano di esser spesi entro il 2015. Del fondo iniziale, pari a 27 miliardi, ne è stato speso solo il 40%, percentuale che ci colloca al terzultimo posto fra i 27 paesi dell’Unione (Commissione europea, Direttorato politiche regionali - dati al 14 giugno 2013). Fa meglio di noi persino Malta. Si tratta di denari che potrebbero esser spesi non già soltanto per opere pubbliche ma, al contrario, per aumentare il valore del capitale umano della PA mediante la formazione di nuove competenze.
Nel settore pubblico, l’età media degli addetti è alta: in Francia il 28% dei lavoratori della PA ha meno di 35 anni, nel Regno Unito sono il 25%, ma in Italia solo il 10%. Ma, al di là del mero fattore anagrafico, è la scarsità di investimenti in formazione che acuisce il divario rispetto alle nuove esigenze emergenti del cittadino-consumatore di servizi. Proprio il rapporto di sostituzione del no-profit è ambito entro il quale è necessario saper fornire una professionalità adeguata alla definizione e alla progettazione dei servizi, elemento mancante nell’attuale assetto. Se da un lato, il cittadino-consumatore viene emancipato dalla sola dimensione economica, è possibile pensare ad una interazione ragionata fra l’organizzazione pubblica e quella privata no-profit. E’ ciò che si chiama co-produzione dei servizi: di fatto una nuova relazione fra Stato e cittadino. Qualcosa che, nel Regno Unito, l’amministrazione Cameron interpreta come mero strumento di riduzione della spesa pubblica in funzione del mantenimento degli attuali livelli prestazionali. Un’ottica senz’altro limitata ma che fa i conti con necessità crescenti e differenziate da parte di una popolazione che invecchia e che muta di composizione per via dei flussi migratori.
La co-produzione ribalta il concetto di cittadino-cliente ponendo la cittadinanza organizzata come ambito intermedio della partecipazione alla definizione dei programmi e dell’erogazione dei servizi medesimi. Decentralizza il potere al livello appropriato più basso incoraggiando una molteplicità di fornitori e di istituzioni civiche nell’offerta dei servizi. In tal modo, piuttosto che attraverso la trasparenza della burocrazia del governo centrale, i servizi pubblici saranno resi responsabili verso gli utenti attraverso tre vie: voce, scelta e un miglior controllo democratico locale (voice, choice, check).
Il ruolo dello Stato in un sistema di co-produzione è quello di mettere in atto programmi diretti al rafforzamento delle capacità della comunità di autoprodurre i servizi necessari, e contemporaneamente consentire una cultura della condivisione e l’attitudine della responsabilità verso la collettività di appartenenza. Sostenere le imprese no-profit mediante programmi di piccole sovvenzioni alle organizzazioni locali e ai gruppi di quartiere può essere una strategia utile al fine di trovare e incrementare la formazione degli attivisti della comunità, i quali potrebbero migliorare notevolmente la capacità delle comunità stessa di affrontare i problemi locali da sé. Programmi già in atto, come la promozione del servizio civile nazionale attraverso il Ministero dell’Istruzione, aiuta a rafforzare il senso di responsabilità nei giovani e a diffondere una cultura di azione comunitaria.
Co-produzione significa lavorare al fianco o al posto dei professionisti ma mantenendo il medesimo livello qualitativo, o migliorandolo laddove l’intervento pubblico è insufficiente: lo Stato agisce fornendo professionalità di carattere gestionale e fondi, il volontariato organizzato coordina e applica in maniera coerente con il livello richiesto dall’utente di cui è esso stesso espressione. Si prenda ad esempio il caso del Social Care service inglese (cfr. Marco Daglio e altri, Oecd public governance reviews — Together for Better Public Services — partnering with citizens and civil society): un programma pilota ha permesso di erogare la cura verso un gruppo di soggetti disabili attraverso, da un lato, l’auto-definizione dei bisogni (gli utenti) e dall’altra l’allocazione di un budget (lo Stato). Le organizzazioni no-profit — diretta espressione dell’utenza coinvolta — hanno messo in interazione i due elementi definendo le opportune pianificazioni di spesa e agevolando la partecipazione nella scelta. In tal modo gli utenti hanno sviluppato, giorno dopo giorno, una relazione diretta con il servizio di cui avevano necessità. La creazione di un network online ha permesso inoltre la divulgazione di tale miglior prassi.
Così, mentre il ciclo di produzione classico pone l’utente solo alla conclusione del processo, la co-produzione prevede la sua partecipazione attiva in ogni singola fase: pianificazione, definizione, erogazione e valuazione del servizio non sono più ambiti chiusi ma ambiti di costante correlazione. Il nuovo rapporto fra cittadino e Stato non è né intermittente né regolato da dinamiche alto-basso: è la riduzione ai minimi termini della barriera fisica — tecnocratica — della macchina statale, o la reintroduzione in essa del fattore umano collettivo.
Dati Istati consultabili qui: http://dati-censimentoindustriaeservizi.istat.it/#