Al contrario: ricostruire il rapporto con il giornalismo.

La mor­te a Mal­ta di Daph­ne Carua­na Gali­zia, sal­ta­ta in aria con la sua auto (in una sce­na ita­lia­nis­si­ma che ricor­da il buio di cer­ti nostri tem­pi) è un attac­co al gior­na­li­smo che non può e non deve rima­ne­re cir­co­scrit­to nel peri­me­tro mal­te­se, in quel cas­set­to sem­pre trop­po como­do del­le “cose che suc­ce­do­no agli altri”, quel­le che ci sfio­ra­no giu­sto il tem­po di qual­che pagi­na di cro­na­ca, il dolo­re, poi il cor­do­glio e poi basta.

«Mia madre è sta­ta assas­si­na­ta per­ché era per lo Sta­to di dirit­to con­tro chi vuo­le vio­lar­lo. Ecco dove sia­mo: in un Pae­se mafio­so dove puoi cam­bia­re gen­der sul­la car­ta di iden­ti­tà ma vie­ni ridot­to in pez­zi se eser­ci­ti le tue liber­tà», ha scrit­to oggi il figlio. Al di là di quel­lo che diran­no le inda­gi­ni (o che non diran­no le inda­gi­ni) la vita (e pur­trop­po la mor­te) di Daph­ne dimo­stra come il gior­na­li­smo, quan­do vie­ne fat­to con cura, docu­men­ti e basan­do­si sui fat­ti è la miglio­re garan­zia di una buo­na demo­cra­zia: costrin­ge i poten­ti a dare rispo­ste, fru­ga tra le dise­gua­glian­ze che con­ta­no dav­ve­ro e soprat­tut­to infor­ma, come il gior­na­li­smo deve fare.

Per que­sto for­se il modo miglio­re di com­me­mo­ra­re Daph­ne Carua­na Gali­zia e il suo lavo­ro, al di là del­la scon­ta­ta soli­da­rie­tà e del dolo­re, è quel­lo di accet­ta­re una sfi­da poli­ti­ca e cul­tu­ra­le che da noi è diven­ta­ta ter­ri­bil­men­te impo­po­la­re: rico­strui­re il rap­por­to con il gior­na­li­smo. Lavo­ra­re per rico­strui­re una con­nes­sio­ne con il mon­do del­l’in­for­ma­zio­ne che rove­sci la deri­va di que­sti ulti­mi anni: ini­zia­re una vera rifles­sio­ne sul ruo­lo poli­ti­co e socia­le del gior­na­li­smo (cer­to, si par­la di gior­na­li­sti gior­na­li­sti, per dir­la alla Gian­car­lo Sia­ni, mica degli altri) che non può per­met­ter­si di esse­re mega­fo­no dei pote­ri ma piut­to­sto ne deve diven­ta­re pun­go­lo. Inver­ti­re, insom­ma, que­sta pes­si­ma deri­va per cui i gior­na­li­sti sia­no i “nemi­ci” da addi­ta­re e pre­ten­de­re da loro veri­tà e, per loro, una digni­tà pro­fes­sio­na­le che li met­ta in con­di­zio­ne (pro­fes­sio­na­le) di docu­men­tar­si, stu­dia­re e approfondire.

Per­ché peg­gio del­le bom­be (pro­prio come la mafia) c’è la sfi­du­cia e l’isolamento.

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