[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1508586516237{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Ieri, davanti alla Prefettura di Milano, si è tenuto un presidio unitario di Sic-CGIL, Fistel-CISL e Uilcom-UIL per evitare i trasferimenti, da Milano a Rende (CS), imposti alle lavoratrici e ai lavoratori di Almaviva della commessa Eni, terminata il 30 settembre.
Viene naturale chiedersi quale sia il senso di spostare gli impiegati di un call center: non si tratta infatti di un sito di produzione o di stoccaggio merci e una qualsiasi chiamata può facilmente essere deviata dalla Calabria alla Lombardia. I dipendenti di Almaviva, il sesto gruppo privato italiano per numero di occupati, con un fatturato nel 2016 pari a 733 milioni di euro e decine di sedi in Italia e all’estero, ritengono che le lettere di trasferimento recapitate a 65 di loro non siano altro che una minaccia più o meno esplicita di licenziamento e un modo per scaricare alcuni costi dall’impresa allo Stato.
Come si può pretendere che una persona tagli e incolli a mille chilometri di distanza la sua vita e quella della sua famiglia per un lavoro con una retribuzione non certo elevata e sotto il ricatto costante della sostituzione con interinali e cocopro?
La strategia, nel caso non sia possibile licenziare direttamente tutti coloro che rifiutano il trasferimento, sembra essere quella di attivare dei contratti di solidarietà scaricando così buona parte dei costi sulle finanze pubbliche, come del resto era stato fatto lo scorso anno nelle sedi di Roma, Napoli e Palermo, salvo poi chiedere ai lavoratori di fare gli straordinari. Straordinari a cui sono regolarmente abituate le persone impiegate sulle commesse Wind e Sky-Fastweb.
Ma allora perché non spostare personale sui servizi erogati per queste ultime aziende, anziché mantenere 65 impiegati in ferie forzate dal primo di ottobre al 2 novembre, facendo accumulare loro un debito di ore in alcuni casi irrecuperabile durante il 2018? Perché lo scopo primario è sostituire lavoratori assunti prima del 2014 e del jobs act, possibilmente trattenendo loro dal TFR il conteggio delle ferie usufruite in eccesso.
Anche alcuni interinali avrebbero voluto sostenere la vertenza dei loro colleghi, ma alla stragrande maggioranza di loro il contratto scadrà il 31 ottobre ed è difficile pensare di giocarsi le poche chance di rinnovo, già ridotte al lumicino, facendosi notare con proteste e rivendicazioni.
La lotta dei dipendenti di Almaviva riguarda tutti noi, in questo caso anche come consumatori, ma in primis come cittadini: a ciascuno di noi può capitare, domani o in un futuro più lontano, di perdere il lavoro. Il Governo prenda posizione e agisca: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Possibile Milano[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]