I sondaggi, si sa, lontano dalle elezioni non dicono poi molto su quello che accadrà realmente. Inoltre, se ciò avviene quando oltre la metà degli intervistati affermano che non andranno a votare o si dicono indecisi, quell’attendibilità cala ulteriormente. Per questo, quando ho visto il sondaggio di La7 dello scorso 2 novembre, in cui, per la prima volta, nell’ipotesi di ballottaggio fra Pd e M5S assegnerebbero la vittoria a questi ultimi, non ci ho costruito sopra alcun ragionamento politico. Però, lo stupore degli stupiti mi ha fatto riflettere. E non poco.
La Weltanschauung egemone nel Partito democratico è sostanzialmente quella per cui se si sta in questo, si sta col capo, senza critiche, obiezioni e opinioni difformi. Chi le ha, è caldamente invitato ad andarsene. Flotte e stormi di droni renziani assalgono e attaccano chiunque eccepisca rispetto alla versione dell’amato leader. Gufi, rosiconi, professoroni gli epiteti più gentili. Il risultato ricercato, in buona certezza, è l’allontanamento di chiunque pensi che la rotta tracciata sia sbagliata e che il sistema immaginato rischioso: si faccia da parte chi è in disaccordo, e nessuno disturbi il comandante.
Così, ovviamente, accade che i dissidenti, semplicemente, prendano atto dell’impossibilità di comporre le distanze e seguano l’invito ad andarsene. E che i sondaggi, conseguentemente, registrino alcuni di questi movimenti. Ora, lì nasce la stupefazione che stupisce: prima li si mette fuori con scelte e decisioni insostenibili per loro e su cui si è indisponibili a discutere, e poi ci si sorprende proprio di quell’andar via. Di più, mentre si esultava per l’approvazione della legge elettorale che tutta Europa ci avrebbe copiato, si ridicolizzavano quanti ne rilevavano i limiti e i problemi. Problemi e limiti che sono tutti lì, al di là dei tweet.
Perché il ballottaggio unico nazionale è quella roba lì. Così come anche la “legge per cui la sera delle elezioni si sa chi ha vinto”, e che si celebrava con immolazione preventiva di congiuntivi e congiunzioni. E pure il meccanismo che assegna la vittoria totale a un unico soggetto. Non capisco la meraviglia, a meno di non immaginare che i sostenitori convinti e festanti dell’Italicum fossero tali perché persuasisi d’esser per sempre fra i vincenti.
C’è un altro tema che non può essere sottovalutato, allo stato in cui siamo. Col proprio agire, i sedicenti riformatori hanno insegnato che il “Paese si cambia con chi ci sta”; se domani, poniamo, vincessero i cinquestelle e si accordassero con la Lega per piegare in senso maggiormente autoritario il sistema, in cosa sbaglierebbero? Potrebbero, che so, applicare la “ghigliottina” per far fuori gli emendamenti degli oppositori oppure, magari, avvalersi del “canguro” per saltarli a piè pari. Dove sarebbe lo scandalo? Non sono forse proprio quelle le best pratices insegnate da questa stagione riformista?
Quasi dimenticavo: con tutta evidenza, fra le fila del partito di Renzi ci si deve essere accorti del sondaggio di Mentana. Il deputato dem Giuseppe Lauricella, fiutata l’aria e scrutato l’orizzonte, si è sentito in dovere di scrivere in una proposta di legge in cui c’è scritto: “Tenuto conto degli astenuti che potrebbero – anche in parte – decidere di votare al secondo turno e considerato che l’elettore, al ballottaggio, segue tutt’altra logica, sganciata dalle indicazioni di partito che sollecita dinamiche del tutto diverse dal primo turno, la soluzione del ballottaggio dovrebbe essere ripensata. Mantenendo il secondo turno di ballottaggio il rischio sarebbe – in caso di alchimie politiche imprevedibili al secondo turno – un ‘effetto Parma’ (per non citare gli altri casi più recenti) di dimensioni nazionali”. Il fatto è, però, che il tentativo inserire una conventio ad excludendum nero su bianco in una norma, rischia di essere un precedente ancora peggiore.