[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1503936286568{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Si sono svolte a Dunkerque, dal 24 al 26 agosto, le tradizionali “Giornate estive” dei verdi francesi di Europe Écologie-Les Verts (EELV), un appuntamento di riflessione e confronto tra militanti e dirigenti ecologisti (ma non solo) per fare un bilancio dell’anno passato e preparare le sfide del rientro.
Cadendo al termine di una sequenza elettorale inedita che li ha visti assenti dalla battaglia presidenziale, azzerati nella rappresentanza all’Assemblea Nazionale e privati del gruppo parlamentare al Senato, questo appuntamento è stato anche l’occasione per una riflessione condivisa su quanto è successo, partendo proprio dalla domanda se esista ancora uno spazio politico per l’ecologia. Perché se l’onda Macron ha travolto tutto e tutti era necessario rimettersi in discussione a partire dalle fondamenta e mettersi all’ascolto di tutti: dagli ecologisti presenti nel movimento di Macron, ad alcune componenti della France Insoumise oltre che, naturalmente, al nuovo percorso avviato da Benoît Hamon con il suo Movimento del 1° luglio.
Ripartire dalle fondamenta voleva dire tornare ai due termini che fondano il movimento: l’Europa e l’Ecologia. Nel momento in cui la domanda di ecologia è tanto manifesta nella società è indispensabile che gli ecologisti siano in grado di proporre il loro messaggio nel modo più efficace possibile e l’Europa è il campo privilegiato per farlo dal momento che, come è noto, le problematiche ecologiche non conoscono frontiere. Particolarmente utile a questo fine è stato l’apporto dei Verdi Europei e del gruppo al Parlamento Europeo che ha permesso l’organizzazione di dibattiti e tavole rotonde con un respiro più ampio rispetto a un prevedibile e asfittico dibattito tutto franco-francese.
Ma è sufficiente girare pagina e ripartire da zero? E da dove viene questa debolezza che colpisce i verdi francesi? La relazione di apertura ha segnalato come prima che all’esterno il problema trovi le sue radici all’interno della struttura stessa del partito: una capacità fenomenale di lacerarsi attorno a questioni che non interessano a nessuno, a discutere tra sé piuttosto che tentare di convincere chi si trova al di fuori delle proprie cerchie ristrette.
E su cosa si litiga di più? Non certo sui valori: gli ecologisti sono certamente il partito più omogeneo ideologicamente. Certamente non sul progetto politico: il lavoro fatto in tutti questi anni ha scavato un solco programmatico solido e coerente. Il vero punto di frizione è sempre quello delle alleanze e del rapporto al potere. Il fatto di accusarsi reciprocamente di essere “troppo a destra” o “troppo a sinistra” non fa che descrivere l’incapacità di produrre una griglia di lettura nuova del campo politico in cui determinarsi liberamente; non secondo cosmogonie antiche, ma in funzione degli imperativi del periodo e dei tempi che verranno.
La sfida è immensa e non è possibile fare l’economia di un lavoro profondo per la conquista di una maggioranza culturale attorno a un nuovo immaginario politico. L’ecologia è quella grande idea che rivisita la relazione dell’umanità con il mondo e non è solubile nelle altre tradizioni politiche che hanno strutturato la storia. Questo non significa che sia una cosa a sé stante e che non possa dialogare con altre realtà ma compone un immaginario singolare che reinventa completamente la società.
Quello che EELV sembra aver chiaro è che non è più il momento delle scorciatoie, del pensare di aggregarsi a questo o quello correndo spesso il rischio di accodarsi, senza condizioni, dietro la bandiera che in quel momento sembra più vantaggiosa. Per gli ecologisti il fine è nei mezzi così come l’albero è in un seme, ed è per questo che non esistono uomini o donne provvidenziali, perché non è possibile costruire un movimento orizzontale attorno alla volontà di uno solo. È il progetto politico l’unico elemento unificante e per incarnarlo non servono né Cesari né tribuni (né Macron né Mélenchon).
Queste «Giornate estive» all’insegna della voglia di rinascita hanno ricordato la responsabilità di offrire un’analisi del mondo che permetta di superare le paure, i pregiudizi e la rabbia. I fallimenti non discendono da cattive analisi o da un progetto debole ma dall’incapacità di portare in modo solidale e popolare un progetto politico di cui la Francia, l’Europa e (perché no?) anche l’Italia hanno urgentemente bisogno.
Alessandro Rosasco[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]