Dopo il lancio della campagna #allabaselascuola, abbiamo ricevuto all’indirizzo mail scuola@possibile.com una lettera di Alice, 12 anni.
Di seguito le sue parole e la nostra risposta.
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Mi chiamo Alice ho 12 anni e ho appena finito la prima media. L’estate scorsa mi sono trasferita a Bologna dalla Birmania dove ho fatto tutte le scuole elementari. Andavo in una scuola internazionale dove si parlava inglese. Fortunatamente i miei compagni di classe a Bologna sono tutti super simpatici e mi hanno aiutato molto ad orientarmi.
Dopo aver visto due metodi di insegnamento molto diversi ho incominciato a chiedermi quale era il migliore e ho deciso che ogni metodo aveva sia degli aspetti negativi che positivi.
La prima cosa che ho notato era la scuola stessa, e cioè il posto. La scuola dove andavo in Birmania era stupenda aveva tre campi da calcio sul tetto, una piscina gigante, un cortile enorme e un campo da basket. A Bologna la scuola ha più di 600 studenti e un cortile di cemento in cui non si può andare tutti i giorni e tre palestre per 24 classi, i bagni sono tutti pasticciati di scritte (che però sono divertenti da leggere) e non c’è la carta igienica.
Un’altra delle differenze che ho notato di più erano i libri. Nella mia vecchia scuola non si compravano libri ma si imparava tutto spiegando dal vivo osservando, sperimentando, discutendo. Le maestre ci davano delle fotocopie quando serviva oppure andavamo nella biblioteca della scuola un’ora ogni settimana. A Bologna invece è tutto basato sui libri. In classe guardiamo le pagine provando a imparare tutto a memoria ma non perchè vogliamo imparare davvero, ma perchè abbiamo una verifica o un’interrogazione. Nessuno ha più voglia di imparare perchè leggere e sottolineare non è molto divertente e pian piano senti l’odio puro di studiare.
Un’altra cosa che ho notato è che il programma è vastissimo e i professori non fanno in tempo ad insegnare tutto e quindi in classe magari leggiamo 3 pagine e poi ci danno da studiare tutto il resto del capitolo a casa non avendo poi tempo dopo scuola per rilassarsi, socializzare e fare sport che sono tre cose importanti quanto l’educazione.
La quarta cosa è che avere tutti i tre mesi di vacanza insieme mi sembra un po’ esagerato perchè in tre mesi ti dimentichi tutto quello che hai imparato in un anno e quindi i prof ti riempiono di compiti e non puoi neanche rilassarti bene, quindi sarebbe meglio distribuire le vacanze durante l’anno come facevo nella scuola di prima, cosi una o due settimane di relax ogni tre mesi renderebbe anche la scuola meno stressante durante l’anno.
L’ultima cosa è che i lavori di gruppo sono fondamentali per imparare a lavorare in squadra e qua a bologna non lavoriamo tanto insieme al massimo lavoriamo in coppie, mentre prima lavoravamo in gruppi da 5 o 6 e rendeva tutto più divertente.
Di Bologna mi piace tantissimo che a scuola posso andare a piedi e con i miei amici, mentre prima dovevo andare in macchina e poi nel cortile della scuola si può tornare anche il pomeriggio a incontrare le persone, o giocare, mentre nella scuola di prima quando la scuola finiva era chiusa.
Mi piacerebbe una scuola che unisse le cose belle della Birmania e quelle di Bologna. Così sarebbe perfetta
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Cara Alice,
Hai ragione, c’è bisogno di un po’ di Birmania e un po’ di Bologna.
Qualcuno tanto tempo fa diceva, in Italia, che la scuola “puzza di scuola” e che in qualche modo non si può fare a meno di questa “puzza”: puzzare di scuola è come voler dire che è inevitabile che nella scuola ci sia qualcosa di non sempre divertente, e non sempre entusiasmante. Qualcuno lo pensa ancora, forse a ragione o forse no. Nessuno ha la verità in mano.
La scuola italiana non è perfetta, e in fondo noi insegnanti lo sappiamo: sappiamo che spesso non riusciamo a fare ciò che dovremmo, che non sempre riusciamo a incuriosire e appassionare, che troppo spesso ci ritroviamo a imporre. Diventiamo stressati e ansiosi: c’è chi riesce a nasconderlo di più e chi lo nasconde di meno. Soffriamo un po’ anche noi, e a volte siamo tristi.
Anche se gli insegnanti hanno opinioni diverse su quelle che potrebbero essere le “soluzioni” ai problemi che ci racconti, cerchiamo di fare del nostro meglio.
Anche noi ci lamentiamo molto, pensa un po’, degli spazi che non abbiamo, degli strumenti che non abbiamo, di quello che appunto “non possiamo fare”.
Perché – diciamo, ci diciamo – “è impossibile”. Perché alla Scuola non vengono assegnate abbastanza risorse, il che — detto in parole povere — significa che la scuola in Italia non ha molti soldi.
Perché siamo stanchi di non riuscire a finire i “programmi”: una vecchia parola che ancora usiamo per abitudine, anche se dovremmo usarne una nuova, “curriculi”, che a volte è difficile da definire anche per noi.
Perché — e perdonaci se suona vittimistico — spesso ci sentiamo maltrattati e sviliti, dalla società e dalla politica.
E’ chiaro che però noi non ci dobbiamo solo difendere e lamentare, o addirittura litigare fra noi. E in ogni caso non dobbiamo farlo rispondendo a una alunna come te, piena di curiosità e che dice cose molto serie.
Cosa fare, allora? Come cambiare le cose? Sì, è vero, servono sia la Birmania che Bologna, l’abbiamo detto.
Quando parliamo in modo “tecnico” diciamo che servono due cose: un’articolazione diversa del tempo scuola, innanzitutto. E poi spazi e luoghi nuovi, per osservare e fare.
Dovremmo unirci (noi che insegniamo e voi che imparate) e sforzarci con tutta le forze che abbiamo per immaginare e costruire qualcosa che adesso non c’è: darci un tempo per studiare e un tempo per riposare, un tempo per creare e uno per assimilare, un tempo per ripetere e uno per stare insieme e ridere, un tempo per esercitarsi da soli e uno per lavorare in gruppo. Un tempo anche per passeggiare (pare che i filosofi antichi passeggiassero molto). Per andare avanti, sempre tutte e tutti insieme, “correndo lentamente”.
Hai ragione, “studiare” solo perché è un obbligo, per il voto, non va bene. Certo, non tutto quello che si studia può sempre piacere, ma si impara davvero qualcosa quando ci appassiona, e riusciamo a metterlo dentro e poi tirarlo fuori. Quando qualcosa ci appassiona la cerchiamo in continuazione, la desideriamo, e soprattutto ci fa sentire bene.
Un signore molto colto (un signore che ha letto tanto, non per prendere un bel voto ma per passione e curiosità, e che ha anche viaggiato e osservato le abitudini e i popoli più diversi) ha sostenuto che l’essere umano è tale, cioè diverso dagli altri animali, per un motivo semplice: non solo perché ha le mani e può quindi costruire (dovremmo dire in realtà: scoprire, inventare), non solo perché ha utensili e strumenti per modificare la natura intorno a lui, e neppure solo perché sa parlare o scrivere o leggere o contare e arrivare a grandi pensieri ed enormi teorie astratte; ma siamo umani perché impariamo, e impariamo giocando, da piccoli e da grandi. Insomma, il gioco è una cosa molto seria, con le sue regole e le sue eccezioni.
Ma anche questo credo che ancora “puzzi di scuola”. Perché quello di cui ho parlato è proprio, per te, la Birmania che non c’è.
Non c’è alcun minimo dubbio, la scuola deve cambiare, a iniziare da quella diversa articolazione dei tempi di cui ti parlavo prima.
Però c’è una cosa che, insieme a quello che dici, noi tutti, insegnanti e adulti, dobbiamo cercare di far capire (e ricordati: se non ci riusciamo la responsabilità è nostra, degli adulti). Anche leggere è bello e, in realtà, la teoria non è mai opposta alla pratica.
Chi ha giocato con la lettura, e si è appassionato, sa che leggere è esattamente il contrario dell’imparare a memoria. Che leggere è capire e trovare la soddisfazione di aver capito qualcosa. Nella lettura ci sono le storie, prima ancora delle teorie e dei ragionamenti: storie di tutti i tipi, anche quelle più assurde e impossibili. Quelle che fanno ridere, piangere, emozionare, impaurire: come nei film o nelle serie. Solo che leggere, sembra (ma solo all’inizio) più lento e difficile. Dopo un po’, te lo assicuro, non lo è più.
Ormai il mondo è cambiato: e per noi vecchietti è giunto il momento di accettarlo. Tu, Alice, cerca sempre di dire (e ogni tanto scrivere) sempre tutto quello che non va, quello che pensi: lo stato delle cose non è dato una volta per tutte. C’è sempre un modo per cambiare e migliorare, anche senza grandi rivoluzioni.
Un vecchio latino diceva una cosa molto giusta: se tieni una cosa in mente, cioè se hai qualcosa da dire, le parole seguiranno e qualcuno ti ascolterà, fosse un solo unico uomo sulla terra. E la stessa cosa avviene all’inverso: non è teoria, ma è una cosa molto pratica, reale anche questa. Capire quello che ha detto un’altra persona, viva, a voce, o anche qualcosa che ha detto scrivendo, magari tanto tempo fa, e sentirlo dentro di noi, è possibile e bello.
A noi spetta, senza litigare, trovare le soluzioni, migliorare la scuola, per quel che possiamo. A noi, insegnanti e adulti, sta il compito di capire te e il mondo. E’ il nostro “compito”, come quello di sforzarci di essere un po’ più liberi e un po’ più coraggiosi.
Qualche tempo fa dei bambini inventarono un racconto, minuscolo, aiutati da un grande maestro, Gianni Rodari, che sicuramente conosci. Più o meno diceva così:
“C’è un’altra Terra. Noi viviamo in questa e in quella, contemporaneamente. Là ci va dentro ciò che di qui va a rovescio. E viceversa. E’ la bis-Terra. Ognuno di noi ha il suo doppio”.
Forse la bis-terra è il tempo in cui viviamo oggi; oppure è il mondo in cui siamo, da cui dobbiamo cavare ancora qualcosa, per rendere la scuola più simile a quella che immagini: un po’ di Birmania e un po’ di Bologna.
Per il Comitato Scuola di Possibile,
Dafne Murè