La nostra Costituzione riconosce alla tutela del paesaggio il rango di principio fondamentale (art. 9) che contribuisce quindi a delineare la fisionomia della Repubblica, e come tale si afferma quale valore primario ed assoluto. Rilevanza confermata anche dalla sentenza 105/2008 della Corte Costituzionale laddove afferma che in caso di contrasto tra bene economico e bene paesaggistico è quest’ultimo a dover prevalere. L’ambiente riveste costituzionalmente «la forma del paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità umana che vi è insediata, in modo intensivo o estensivo, nella città o nella campagna, che agisce sul suolo, che produce segni nella sua cultura» (Predieri).
Basta salire in macchina in una giornata di sole e percorrere il viale da Marina verso Carrara per osservare la profonda ferita delle Alpi Apuane, così definite e possenti. La continua tortura delle escavazioni marmifere le sta erodendo. A forza di cavare pezzi dal quadro presto la composizione perderà il suo tema. Ci si sente derubati di qualcosa che ci appartiene senza la possibilità di rivendicarne il possesso.
Purtroppo dobbiamo rilevare che nel nuovo regolamento degli agri marmiferi del comune di Carrara continua a prevalere l’interesse economico privato su quello paesaggistico/ambientale della collettività, interesse quest’ultimo che ha anche una valenza economica erga omnes e non ad personam. Come ha più volte denunciato Legambiente, infatti, l’occupazione in cava è ormai 10 volte inferiore rispetto a quella relativa a tutta la filiera del processo che conduce i pochissimi blocchi di marmo e i moltissimi detriti al prodotto finale e solo una ristretta porzione di tale materiale estrattivo è destinata alla lavorazione in loco. Basti pensare che con l’ultima legge regionale di marzo 2015 sulle disposizioni in materie di cave redatta durante lo scorso mandato del centrosinistra, la percentuale di detriti producibili dalla escavazione è stata fissata al 75 percento del totale con la possibilità da parte delle amministrazioni locali di poter sfiorare la soglia del 90 percento in specifiche circostanze. Questa proporzione non è ovviamente casuale, ma indotta da ingorde richieste di mercato benevolmente accolte, tra cui spicca anche quella della cosmesi: le polveri esportate finiscono infatti nei dentifrici, nei cosmetici, ma anche nei collanti, negli stucchi e nelle materie plastiche.
Decisamente contratto è il quantitativo di marmo destinato all’ornamentale, per non parlare di quello che finisce nei laboratori scultorei limitrofi.
L’approvazione del nuovo regolamento non è stata soltanto un’occasione mancata per poter guardare al sistema lavorativo locale riducendo il più possibile l’emorragia di risorse e parallelamente tamponando l’impoverimento economico della zona, ma ha rappresentato anche l’inerzia nell’attivare un serio sistema di tutela ambientale che parta almeno dal corretto smaltimento dei rifiuti di escavazione e da un’adeguata manutenzione delle aree di lavoro. La «marmettola», così viene chiamata la polvere di scarto dell’estrazione e della segatura dei blocchi, non è altro che il sangue bianco che fuoriesce da quelle profonde ferite inflitte per anni alle Alpi Apuane: si mescola all’acqua degli agenti atmosferici e si unisce ai fiumi cementificandone i letti, impatta drasticamente sulla flora e sulla fauna, si infiltra nelle rocce inquinando le sorgenti e rovinando il delicato equilibrio delle grotte carsiche peculiari del nostro territorio.
Carrara rappresenta da sempre un unicum per la diffusione e per la radicalizzazione, anche culturale, di un modello di sfruttamento del territorio appannaggio di molteplici interessi privati, ma basta spostarsi di pochi chilometri per comprendere che tale modello è spesso d’ispirazione per buona parte della politica locale di quasi tutto il territorio Apuano-Versiliese.
Anche a Massa, a più di un anno dalla dichiarazione del Sindaco leghista Persiani con cui rese noto l’interesse della maggioranza consiliare di riaprire ben sette cave ormai dismesse, è stato approvato a dicembre 2020 il nuovo regolamento degli agri marmiferi tramite il quale la giunta, di concerto con la medesima legge regionale del 2015, da un lato abbraccia la scelta anacronistica di scongiurare ogni divieto di riapertura di siti estrattivi e dall’altro ammicca agli interessi dei concessionari omettendo anche stringenti garanzie di tutela dell’ambiente. Immediata fu la mobilitazione (ridimensionatasi poi a causa della pandemia) delle associazioni ambientaliste locali che a inizio gennaio 2020 riuscirono a raccogliere quasi 2000 manifestanti per protestare contro l’ennesimo attacco alla salvaguardia ambientale del territorio apuano.
Se varchiamo poi il confine tra provincia di Massa-Carrara e provincia di Lucca, a Pietrasanta (solo pochi anni fa protagonista di un pericolosissimo avvelenamento da tallio scaturito da un vecchio sito minerario dismesso), lo schema proposto dalla nuova giunta a trazione forzista è il medesimo: riaprire una vecchia cava dismessa, cava Ceragiola-Colloreta condivisa con il Comune di Seravezza, facendosi spazio tra i buchi di una legge regionale troppo poco severa. Una decisione che cozza con la linea delle amministrazioni precedenti, ma che trova un suo fondamento, seppur debole, nell’inserimento del sito tra i «giacimenti potenziali» che compaiono nel nuovo Piano Regionale Cave (PRC) di luglio 2020.
Quando invece vecchi siti di estrazione vengono riconvertiti, capita che diventino discariche di rifiuti speciali sebbene si trovino a ridosso di importanti aree naturali protette: è proprio questo il caso dell’ex cava Viti, a cavallo tra le due province, che da più di dieci anni minaccia la cittadinanza e la zona protetta del Lago e Rupi di Porta. La preoccupazione per la scarsa trasparenza della gestione della discarica, l’immissione di percolato nelle reti fognarie e i giacimenti di amianto presenti, ha portato alla mobilitazione compatta dei comitati cittadini, delle associazioni ambientaliste e dei Comuni limitrofi che sono così riusciti a far approdare in Regione e approvare nel 2017 e nel 2018 una doppia ordinanza di chiusura della discarica.
Impensabile che ancora oggi la discarica sia ancora in attività.
L’azione perpetrata su questo bene comune è stata ed è sicuramente «sistematica», ma non altrettanto «cosciente».
Nel verbo «conscire» c’è il conoscere nell’accezione di «essere consapevole», essere capaci di agire non solo nell’immediato, ma soprattutto nella proiezione delle conseguenze che la nostra azione potrebbe determinare.
Appare chiaro, quindi, come l’azione su un bene costituzionale assoluto e primario non possa essere lasciata alla coscienza individuale, legata a una consapevolezza limitata dalla conoscenza o da interessi particolari, ma deve essere presa in carico dalla coscienza collettiva dell’intera cittadinanza.
Paola Boggi
Gianmarco Simonetti