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Sono appena rientrata da scuola, dove ho trascorso una piacevole mattinata — non la prima, né l’ultima — a riordinare le scartoffie della classe in cui ricopro l’imprescindibile ruolo di tutor d’aula per l’Alternanza Scuola Lavoro (ASL), l’”innovativo format didattico rispetto alle tradizionali attività scolastiche”[i] con cui ci troviamo a fare i conti fin dall’entrata in vigore della L. 107/2015 (cosiddetta “Buona scuola”). Tale legge, infatti,
“nei commi dal 33 al 43 dell’articolo 1, sistematizza l’alternanza scuola lavoro dall’a.s. 2015–2016 nel secondo ciclo di istruzione, attraverso:
- la previsione di percorsi obbligatori di alternanza nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, con una differente durata complessiva rispetto agli ordinamenti: almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali e almeno 200 ore nei licei, da inserire nel Piano triennale dell’offerta formativa; […]”[ii]
Forme di ASL light erano già state introdotte in forma facoltativa da Letizia Moratti tra 2003 e 2005, nel contesto di quella che appariva una lotta alla dispersione scolastica secondo l’ottica della destra. Lungi dal raggiungere quello scopo, hanno finito invece per amplificare quella più generale tendenza che, da Moratti a Gelmini, fino agli attuali governi Renzi e Gentiloni, sembra aver di mira una sola cosa: ridurre l’orario scolastico e svuotare la scuola dei propri compiti istituzionali, che riguardano la formazione intellettuale, culturale e civile delle giovani generazioni. Un quindicennio di progressivo smantellamento della scuola pubblica e di svilimento del ruolo sociale dell’insegnante: da fannullone a grigio burocrate, sempre comunque connotato in senso negativo.
E, in effetti, mi rendo conto tristemente — mentre controllo le carte, fotocopio moduli, verifico orari e presenze — che quest’ultima rischia di essere una profezia che si autoavvera. Nel frattempo, non posso però impedirmi di pensare e di giungere alla conclusione che l’universalizzazione della ASL voluta con la L. 107/2015 non è né utile né necessaria, anzi piuttosto dannosa, in quanto sottrae alla scuola tempo — tanto tempo! — ed energie preziose per svolgere i compiti che le sono — sarebbero — propri, in quanto interviene a spezzare il ritmo del lavoro scolastico di costruzione dei saperi disciplinari, che ha un ruolo fondamentale nella formazione delle persone e rappresenta un momento unico nelle loro vite e un ponte necessario per l’accesso al mondo degli studi universitari — in cui, giova ricordarlo, l’Italia è fanalino di coda in Europa e non per responsabilità esclusiva della scuola.
Scuola che è vista ormai non più come valore in sé, come veicolo di cittadinanza e di uguaglianza, ma come funzionale ad altro, piegata alle esigenze di un mondo esterno presentato senza alternative (“There Is No Alternative” è il mantra di questi anni). Fine del luogo in cui si apprende il pensiero critico, si riflette sul dover essere, ma totale appiattimento su un esistente rappresentato dalle “filosofie” aziendali di McDonald’s o di Zara (“I Campioni dell’alternanza” — sic!)[iii]. Riaffermazione dello stereotipo, dell’approssimazione, del linguaggio sciatto che i giovani e le giovani incontrano quotidianamente e da cui la scuola avrebbe il compito di emanciparli/e. Adattabilità è una delle parole chiave dei documenti ministeriali, insieme ad autoimprenditorialità: la scuola deve insegnare ad adattarsi a lavori scarsamente qualificati, precari, non a maturare la coscienza di essere titolari di diritti.
“La scuola deve, infatti, diventare la più efficace politica strutturale a favore della crescita e della formazione di nuove competenze, contro la disoccupazione e il disallineamento tra domanda e offerta nel mercato del lavoro”[iv].
Come reagire ad affermazioni di questo tenore, di cui non si capisce se siano dettate più da ingenuità o da malafede?
In tutto questo, la scuola — “Campioni” a parte — è stata lasciata sola, di fronte a bacini di assorbimento di manodopera (rigorosamente gratuita: una vera esperienza di lavoro estivo retribuito non fa monte ore) insufficienti, di fronte a enti pubblici in sofferenza di organico e ad aziende, a volte piccole o piccolissime, che non si possono certo permettere di destinare un’unità di personale alla cura di studenti e studentesse in alternanza, e che un domani non saranno mai in grado di assumere chicchessia. Lo stesso nel caso di associazioni di volontariato: chi ha tempo di seguire adeguatamente come tutor aziendale una/un giovane di passaggio? Di botto, migliaia di studenti si sono riversati/e sul territorio per poter maturare quell’esorbitante monte ore, indispensabile d’ora in poi per l’ammissione all’esame di Stato. Di quello Stato che ha stanziato per l’epocale iniziativa 100 milioni di euro all’anno, cioè poche decine di euro a studente, insufficienti a costruire qualsiasi serio progetto formativo. Fateci caso: ogni volta che andate a uno sportello pubblico, troverete una/un giovane dell’aria smarrita che, parcheggiata/o su uno sgabello osserva le operazioni del personale. Sappiate che è una vittima innocente della ASL, e neppure delle più sfortunate.
Impilo carte su carte e la mia mente corre a quell’opuscolo multicolore — chissà perché per parlare di scuola si è pensato di dover regredire a uno stadio infantile? — che ci era stato presentato al grido di “burocrazia zero!”. Mentre io stamattina mi sono trovata a preparare dei fascicoli cartacei che, per ogni studente e per ogni attività, prevedono: Modulo di assunzione di responsabilità da parte delle famiglie, Patto formativo dello/a studente con l’ente ospitante, Calendario delle presenze con orari e firme, Diario di bordo, Scheda di valutazione dello studente da parte dell’ente, Scheda di valutazione dell’attività da parte dello/a studente. In media, una quindicina di fogli A4 per attività per studente. Forse la mia scuola non è abbastanza smart, ma la mia classe, di 21 studenti, quest’anno ha fatto mediamente tre attività, due lo scorso anno e almeno altre due dovrà farne l’anno prossimo, a cui si aggiungono altre due o tre attività scelte solo da alcuni/e: all’esame di Stato, avanzerà verso la Commissione preceduta da circa 2500 fogli A4 di sola ASL! Stamattina, mentre controllavo e assemblavo carte su carte, ho avuto una leggera vertigine al pensiero di quanti fascicoli analoghi si stanno preparando in tutte le scuole d’Italia e mi sono chiesta quanti alberi dovremmo piantare per azzerare l’impatto ambientale della “Buona scuola”.
Dunque, prendiamo atto che la “Buona scuola” non prevede la millantata “burocrazia zero”, ma una “burocrazia mille” (o forse azzera soltanto quella burocrazia che costituisce una garanzia dei diritti delle persone). Innumerevoli sono le operazioni burocratiche che quest’anno si sono sovrapposte anche ad attività che da anni svolgevamo in maniera semplice e diretta, con reciproca soddisfazione nostra, dei/delle nostri/e studenti e degli enti del territorio con cui lavoravamo, già in buona sintonia col mondo “esterno”, senza però rinunciare alle esigenze di quello “interno”.
Che fare, allora?
Al netto del fatto che andrebbe salvaguardata la funzione propria della scuola e che dovrebbe essere abbattuta la montagna di burocrazia che l’attuale ASL prevede, distinguerei tra licei e istituti tecnici e professionali.
Licei
I documenti ministeriali vantano il fatto che ”l’estensione delle attività di alternanza anche ai Licei rappresenta un unicum europeo”[v]. Cosa che forse avrebbe dovuto far riflettere sulla loro inutilità, invece… Nei licei, dove prevale una formazione generalista, aperta a vari sviluppi, l’alternanza — obbligatoria e universale — è una pura perdita di tempo; può funzionare forse, ma con un monte ore assai più ridotto, nella forma dell’orientamento universitario. Lo si faceva anche prima; con i nuovi stanziamenti lo si può migliorare.
Si ritiene opportuno offrire a chi ne sente il bisogno, per ritrovare motivazione o semplicemente per esplorare il mondo del lavoro, un’esperienza presso un ente o un’azienda? Si chieda alle scuole di organizzare insieme ad enti o aziende che siano effettivamente in grado di sostenerla un’attività che sia veramente formativa, ma che si svolga per un periodo di tempo ben definito in anticipo, non superiore alle due-tre settimane (diciamo dalle 30 alle 90 ore), magari nel quarto anno, che è forse il momento didatticamente più opportuno, e si renda l’adesione a tale progetto facoltativa da parte dello/a studente.
Istituti tecnici e professionali
Qui, da molto tempo prima della “Buona scuola”, si svolgevano nell’ultimo anno (o negli ultimi due anni) stage presso aziende del territorio, strettamente collegati alle materie di studio più fortemente professionalizzanti, in continua evoluzione nel mondo del lavoro. Qui può avere un senso inserire un monte ore più ampio e obbligatorio per tutti/e nel triennio finale e impegnare risorse perché si possa svolgere nella maniera più adeguata. Lo si tenga però ampiamente al di sotto delle 400 ore attualmente imposte, che sono chiaramente uno sproposito, di nuovo volto a squalificare il lavoro di formazione scolastica, ineliminabile.
“Le democrazie hanno grandi risorse di intelligenza e di immaginazione. Ma sono anche esposte ad alcuni seri rischi: scarsa capacità di ragionamento, provincialismo, fretta, inerzia, egoismo e povertà di spirito. L’istruzione volta esclusivamente al tornaconto sul mercato globale esalta queste carenze, producendo un’ottusa grettezza e una docilità — in tecnici obbedienti e ammaestrati — che minacciano la vita stessa della democrazia”[vi].
Credo che queste parole di Martha Nussbaum, insieme alla nostra Costituzione, dovrebbero rappresentare il punto di riferimento della proposta per una scuola Possibile.
Maria Laura Marescalchi (Modena Possibile)
[i] MIUR, La buona scuola, Alternanza scuola-lavoro, Che cos’è l’alternanza, http://www.istruzione.it/alternanza/cosa_alternanza.shtml.
[ii] MIUR, Attività di alternanza scuola lavoro. Guida operativa per la scuola, p. 9. http://www.istruzione.it/allegati/2015/Guida_Operativa.pdf.
[iii] MIUR, La buona scuola, Alternanza scuola-lavoro, I Campioni dell’alternanza, http://www.istruzione.it/alternanza/campioni.shtml. V. anche il bell’articolo di Christian Raimo su “Internazionale” (16/11/2016), Con l’alternanza scuola-lavoro l’istruzione si inchina al modello McDonald’s, http://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2016/11/16/scuola-lavoro-alternanza-mcdonald.
[iv] MIUR, La buona scuola, Alternanza scuola-lavoro, Che cos’è l’alternanza, http://www.istruzione.it/alternanza/cosa_alternanza.shtml.
[v] Ibidem.
[vi] Martha Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011, p. 154.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]