[vc_row][vc_column][vc_column_text]Se c’è una cosa che fa più paura dei discorsi razzisti e delle notizie false o distorte usate per sostenerli è l’ingresso dei discorsi razzisti nel “senso comune”, e il loro diffondersi anche nelle parole di chi il razzismo lo combatte.
È quello che è successo oggi sul Corriere della Sera, che ospita un editoriale in cui Claudio Magris, celebre scrittore ed ex senatore, critica il provvedimento con cui la giunta di Trieste ha negato a una scuola l’uso della sala comunale per una discussione sulle leggi razziali.
Magris però non si limita a questo, ma — probabilmente con l’intento di sembrare super-partes — dedica la parte centrale del suo intervento a una tesi che nessuno si sentirebbe di contraddire. Scrive Magris: “Ovviamente, se vengono perpetrati dei reati questi devono essere puniti senza riguardi di nessun genere.”
Per corroborare la sua tesi, lo scrittore ed ex senatore cita il caso di una giudice che in Germania, nella ricostruzione di Magris, avrebbe assolto un Turco colpevole di stupro “in quanto” — secondo la giudice — “il suo reato rientrava nella sua cultura”.
A questa notizia, risalente all’aprile 2017, in Italia fu dato ampio risalto soprattutto da Libero, che aveva titolato “Libertà di stupro per i Turchi. Una corte tedesca assolve un violentatore. Per la sua cultura è sesso selvaggio.”
L’articolo era stato poi ripreso da ImolaOggi e VoxNews, due dei principali strumenti usati dal popolo social di estrema destra per far passare i propri messaggi, e aveva trovato una certa diffusione online, in un periodo in cui delle violenze sessuali degli stranieri si parlava tanto anche per le frasi di Serracchiani sugli “stupri più inaccettabili se compiuti da chi chiede accoglienza.”
Magris conferma quindi la ricostruzione di Libero. E va oltre, addirittura, sostenendo che il giudice abbia “disonorato la sua toga assolvendo il delinquente in quanto secondo lei il suo reato rientrava nella sua cultura”.
Peccato che le cose — e bastava qualche ricerca su Google per scoprirlo — non stiano assolutamente così.
La fonte originaria della notizia è un articolo di Jürgen Lauterbach pubblicato dal Markishe Allgemeine, un quotidiano locale di Brandeburgo. Nell’articolo si legge:
The decisive question for the outcome of the criminal case was directed to the witness, the victim: “Could it be that the defendant thought you were in agreement?” That could be, let the witness know the court. She could not judge whether, with the mentality of the Turkish cultural circle, he had thought the happenings she had experienced as rape might have been for wild sex.
Traducendo: “La domanda decisiva per il risultato del processo è stata diretta alla testimone, la vittima: “Potrebbe darsi che l’accusato abbia pensato che fosse sesso consensuale?”. “Potrebbe essere, ha fatto sapere la vittima.” Non era in grado di giudicare se, con la mentalità del background culturale turco, lui avesse potuto pensare che l’atto, vissuto dalla vittima come uno stupro, potesse essere considerato sesso selvaggio.”
L’articolo quindi riferisce (e — attenzione — senza virgolettati) che era stata la vittima a parlare dell’origine turca dell’accusato, non la giudice che ha deciso sul caso.
Vice.de, l’altro mezzo di informazione tedesco che si è occupato della vicenda, cita le parole di una addetta stampa del tribunale:
“The victim did not say no clearly enough.” The victim herself has said so. According to the press secretary, it should also be considered that drugs were taken, and that the initial rejection of the victim could have changed, so that the accused might have incorrectly assumed consent.
La vittima non ha detto “no” abbastanza chiaramente. La vittima stessa lo ha affermato. Secondo l’addetta stampa, si dovrebbe anche tenere conto del fatto che c’è stato del consumo di droghe, e che l’iniziale rifiuto della vittima potrebbe essere cambiato, in un modo che l’accusato avrebbe potuto, sbagliando, prendere come un consenso.
La decisione del giudice, quindi, non si era assolutamente basata sulla nazionalità dell’accusato — come sostiene Magris — ma sulla testimonianza della vittima, che secondo la corte non era stata abbastanza “chiara”.
Un comunicato stampa ufficiale pubblicato sul sito della Corte di Brandeburgo affermava esplicitamente che “per la corte non era significativo il fatto che l’imputato fosse di origine turca.”
La questione non è, ora, stabilire se la decisione della corte fosse giusta o no. Il dibattito, certamente, avrebbe potuto svilupparsi su questo aspetto della sentenza e sulla legge che la supporta: la legge sullo stupro in Germania fino al 2016 prevedeva che “una violenza sessuale poteva essere definita stupro se chi l’aveva subita aveva provato fisicamente a difendersi e poteva dimostrarlo in tribunale”. Anche dopo la riforma del 2016, basata sul principio del “no significa no”, sono rimasti molti punti d’ombra, poiché rimane decisivo il comportamento della persona danneggiata e non del colpevole.
Certo, poteva poteva essere una buona occasione per parlare di questi temi, per far partire una battaglia politica per introdurre leggi simili a quella ora in discussione in Spagna, la più avanzata nella tutela delle vittime perché basata sul consenso esplicito.
Certamente, accettare che quella sentenza sia utilizzata per propugnare tesi xenofobe senza fondamento, distorcendo i fatti per cui è stata emessa, è un errore (culturale prima che politico) che paghiamo tutti.
Magris conclude: “il falso politically correct di molte anime benintenzionate dà un grande aiuto alla retorica totalitaria e razzista.” Io personalmente non so se le dà un aiuto. Non quanto spacciare per vere le notizie inventate da Libero, di questo sono sicuro.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]