di Daniela Mangiacotti
Comitato LuMaCa
Il sistema degli appalti pubblici e privati nel nostro Paese (come nel resto del mondo) è sempre più basato sul precariato di lavoratrici e lavoratori.
Nato in base ad esigenze specifiche dei datori di lavoro di affidare a terzi lavori ed attività per cui è richiesta una competenza specifica di un determinato settore industriale, commerciale e di servizi o per commissionare un pacchetto completo di attività per le quali si prevede una durata a scadenza, quindi non a tempo indeterminato. Oltre alla necessità di scaricare su terzi le responsabilità civili e penali che il legislatore pone in capo al datore di lavoro.
Di fatto, però, il ricorso agli appalti ha avuto nel tempo una crescita costante in svariati settori; il governo italiano spende il 10,4% del PIL nazionale, pari al 21,4% della spesa pubblica nazionale, in appalti pubblici; un’enorme massa di denaro che fa gola a molti imprenditori, tra i quali le mafie si sono infiltrate, che genera sperpero di denaro pubblico e corruzione, all’ordine del giorno nelle nostre cronache.
Negli anni la legislazione in materia, che si differenzia per alcuni aspetti dal pubblico al privato, ha subito diverse modifiche, tutte volte alle necessità della parte forte, ovvero la parte datoriale, divenendo sempre più strumento di precariato dei lavoratori dipendenti di appalti e subappalti. Di fatto, l’esternalizzazione dei servizi è stata la prima forma di precariato introdotta dal legislatore che, negli ultimi decenni, ha accostato a tale sistema una serie di tipologie di contratti precari, facendo sempre più diminuire il ricorso alle assunzioni dirette a tempo indeterminato.
Nelle gare di appalto, infatti, i criteri per l’aggiudicazione di un appalto sono principalmente due:
1. minor prezzo (detto anche massimo ribasso)
2. offerta economicamente vantaggiosa (in cui a vincere è l’offerta che si presenta la migliore sotto il profilo tecnico e che, al contempo, si contraddistingue per offrire il prezzo più basso).
Dato che i costi dei fornitori, dell’energia, delle materie prime, generalmente subiscono degli aumenti costanti (quando non veri e propri picchi dovuti a speculazioni meramente finanziarie), il modo più semplice per i datori di lavoro per ridurre i costi e mantenere i profitti è sempre quello di scaricare tale riduzione sulla forza lavoro; questo ha fatto sì che nel nostro Paese, in base alla statistica OCSE di fine 2021, i salari siano decresciuti rispetto al resto dei Paesi OCSE europei fino a divenirne il fanalino di coda (- 2,91% rispetto agli altri Paesi); il potere contrattuale sindacale è stato ridotto drasticamente nel tempo attraverso opere di destrutturazione e sminuzzamento delle tipologie contrattuali di applicazione nei vari settori (dal tempo determinato, l’interinale, lo stage dove i giovani laureandi vengono sfruttati all’inverosimile, alle finte partire iva, ai finti part time, ecc.ecc.), dalla partecipazione alle gare da parte di cooperative cosiddette “spurie”, ovvero solo di facciata, che mascherano ulteriore sfruttamento, oltre che dalla nascita di nuove tipologie di lavoro che non trovano ancora campo di applicazione nella contrattualistica nazionale fra le parti sociali.
I settori più in crisi per la crescita tecnologica, per le crisi economiche strutturali del sistema liberista, per le delocalizzazioni (su cui è bene approfondire un tema a parte, visto che nel nostro paese in particolare il legislatore ha fatto poco o nulla per arginare la falla che porta a migliaia di licenziamenti ogni anno), diventano veri e propri sistemi di sfruttamento di milioni di lavoratrici e lavoratori che prestano opera, sia nel privato che nel pubblico, attraverso il sistema degli appalti e dei subappalti, in cui le parti datoriali sono riuscite, con l’ausilio del legislatore, a mettere in atto una guerra fra pari.
Come? Semplice, basta entrare in un qualsiasi appalto oggi per toccare con mano le differenze applicate tra i lavoratori diretti assunti dal concessionario e quelli degli appalti/subappalti, in cui i primi godono normalmente di diritti e tutele maggiori, contrattualistica più redditizia anche per l’applicazione di contratti integrativi stipulati fra le parti; a lavoratrici e lavoratori dei subappalti, quando va bene e vi è un sindacato che funziona, vengono applicati i minimi previsti da contratto nazionale che, peraltro, vedono retribuzioni nette ferme da anni per mancanza di rinnovi con aumenti salariali o con aumenti del tutti irrisori rispetto al caro vita.
A questo si aggiunga che, per il fatto che i contratti di appalto hanno scadenze che normalmente non vanno oltre il lustro e che, ad ogni nuova scadenza, vengono messi in discussione anche quei minimi salariali e i livelli di inquadramento raggiunti, per non parlare del contratto integrativo che necessità di tempi medio lunghi per la discussione al tavolo fra le parti e per il quale, è ovvio dedurre, che non vi sia mai il momento adatto per portare a buon fine la trattativa.
Pertanto, a tutela di milioni di lavoratrici e lavoratori, è più che mai necessario affiancare alla lotta per il minimo salariale un’ampia discussione che ci porti a formulare proposte da mettere in campo per regolamentare il sistema degli appalti che, oltretutto, basandosi sul precariato, porta la parte debole a subire ricatti costanti, con conseguenti morti e invalidità permanenti sul lavoro.
Vi sono alcune realtà territoriali che hanno intrapreso tavoli istituzionali e siglato accordi fra le parti; un esempio è quello della regione Emilia-Romagna che lo scorso 23 dicembre 2021 ha sottoscritto un protocollo sulla legalità firmato da Regione-Cgil, Cisl e Uil, intitolato “prevenzione e qualità del lavoro”, fra le cui priorità vede il contrasto alla criminalità organizzata, oltre che per garantire continuità occupazionale al cambio degli appalti e per applicare norme e salari dell’appaltatore ai lavoratori in subappalto.
È sempre qualcosa ma di certo non abbastanza perché non fatto su scala nazionale e perché non affronta tutte le problematiche risapute dai sindacati rispetto al mondo degli appalti.
Il subappalto è infatti ulteriore forma discriminatoria e precarizzante per lavoratrici e lavoratori.
In sostanza, il sistema degli appalti può essere visto come una piramide, un sistema a caste, dove alla base ci sono i lavoratori di serie zeta che le parti datoriali reperiscono sempre più fra i meno tutelati anche dallo Stato, vedi extracomunitari che subiscono anche il ricatto della scadenza del permesso di soggiorno; nello strato superiore ci sono i lavoratori che dipendono dall’appaltatore e nel gradino sopra i lavoratori assunti direttamente dal committente (o appaltante). A questo si aggiunga che ogni datore di lavoro normalmente applica un contratto diverso, pertanto i lavoratori risultano ancora più divisi fra loro.
Ai vertici della piramide le varie parti datoriali che utilizzano questo sistema per dividere i lavoratori e governare senza problema, dal momento che i più tutelati, per paura di perdere i diritti maturati, accondiscendono e non danno supporto alle lotte dei lavoratori che occupano i gradini più bassi, i quali sono sempre più rassegnati e accondiscendenti a questo sistema.
Nel terzo millennio, in Europa, dovremmo essere ben lontani da questi sistemi arcaici di sfruttamento mentre ci ritroviamo sempre più invischiati in questi sistemi iniqui e arroganti.
Se vogliamo aspirare a cambiare lo stato delle cose, è necessario ragionare su questi termini e proporre alle lavoratrici e ai lavoratori delle soluzioni che possano tornare a dar loro la spinta a combattere per i loro diritti e a ritrovare una forza politica alleata che li supporti fattivamente nelle loro battaglie, perché un’altra piaga è la perdita totale di un riferimento politico che abbia la forza e il coraggio di battersi per loro, per cui spesso si fanno abbindolare dalle false chimere della destra che finge di supportarli mentre foraggia a sua volta il Capitale; oppure si astengono dal voto.
Una totale perdita di rappresentanza politica ed istituzionale, con conseguente danno alla democrazia del nostro Paese che da decenni fa emergere i peggiori.