Si celebra oggi un anno dalle prime bombe sganciate dall’Arabia Saudita sullo Yemen. Bombe che hanno causato e continuano a causare morti e distruzioni in un conflitto (condotto senza alcun mandato internazionale) che la cronaca — perlomeno quella nostrana — ha di fatto dimenticato, nonostante le responsabilità italiane e del governo italiano.
I partner internazionali dell’Arabia Saudita hanno gettato benzina sul fuoco, sommergendo la regione di armi nonostante fosse sempre più evidente che quelle armi stavano facilitando il compimento di crimini agghiaccianti e che successive forniture avrebbero potuto essere usate per commetterne altri. (James Lynch, vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International).
Le responsabilità nostre e del governo scaturiscono dal fatto che l’Italia risulta essere tra gli esportatori di sistemi d’arma verso l’Arabia Saudita. Commercio che si è protratto anche a conflitto in corso. E sistemi d’arma che sappiamo essere stati impiegati direttamente in Yemen.
Per tutto lo scorso anno, gli Usa e il Regno Unito — di gran lunga i principali fornitori di armi all’Arabia Saudita, paese guida della coalizione — e altri stati tra cui l’Italia, hanno continuato ad autorizzare trasferimenti di quel genere di armi che sono state usate per commettere e facilitare gravi violazioni e generare una crisi umanitaria senza precedenti. (Amnesty International)
Il Parlamento europeo ha già condannato, nelle settimane scorse, questo tipo di esportazioni.
Da parte nostra, abbiamo posto otto domande chiarissime al governo Renzi. Torniamo oggi a ripeterle (#Arabiainaudita è il nome della campagna). Perché è necessaria chiarezza sulle relazioni che il nostro Paese costruisce — ricordiamo non solo l’Arabia Saudita, ma anche l’Egitto, e l’Eritrea, per fare alcuni esempi -, e perché è necessario bloccare immediatamente l’esportazioni di armi che distruggono le vite dei cittadini yemeniti.