Essere investito. Cadere sotto la pioggia. Restare con una gomma bucata prima della fine del turno. Vedersi modificata la retribuzione da un giorno all’altro. Restando in solitudine, senza aver neanche un riferimento, un luogo fisico ove andare, a cui rivolgersi. Questa è l’esperienza dei ciclo-fattorini, dei riders (ma il termine è subalterno alla narrazione della sharing economy, dove lavori gratis e sei felice) condivisa per la prima volta in maniera aperta ed eclatante nell’assemblea organizzata da Riders Union Bologna a Làbas Occupato, questa domenica.
Dopo la sentenza di Torino, è tutto un affollarsi di telecamere e giornalisti. Il silenzio è rotto. Daniele e Jerome portano la loro esperienza dal Belgio e dalla Francia. Andrea quella dei riders milanesi e Giuseppe racconta di Torino e della prima protesta tenutasi nel 2016. Man mano che si dipanano le storie, emerge chiara la necessità di imboccare una via differente: mettere insieme le esperienze per reclamare condizioni di lavoro universali, uguali per tutti, nel salario e nelle tutele.
“Dobbiamo rifiutare l’immagine dei cattivi”, afferma Jerome, attivista di Clap (Collectif des livreurs autonomes de Paris) spiegando come a Parigi si siano serviti della creatività per spiegare a chi ordina cibo online e ai ristoratori che queste piattaforme ci derubano due volte allo stesso tempo: sfruttando il lavoro e lucrando sui nostri dati, su ciò che ordiniamo, sui cibi preferiti, da cosa sono composti e come sono consegnati ed in quanto tempo.
Noi di Possibile eravamo presenti con Elly Schlein, Davide Serafin (giustapaga.it), Eulalia Grillo. Pronti — non da ora — a fornire il nostro contributo a questa causa chiave nella sfida portata alla dignità del lavoro della nuova (vecchia) economia.