Ora che anche Matteo Renzi si è pronunciato a favore dell’introduzione nel nostro ordinamento del reato di autoriclaggio, non dovrebbe essere difficile far passare in VI Commissione Finanze l’emendamento in materia, opera di Lucrezia Ricchiuti e Giuseppe Civati. Renzi, rispondendo alla lettera di Saviano — il tutto sulle colonne di Repubblica — annuncia di voler intervenire “con assoluta urgenza”.
Va da sé che una disposizione simile era già contenuta nella bozza del Decreto n. 4/2014, il cosiddetto decreto sulla Voluntary Disclosure, nuovo complesso di norme volte a favorire il rientro dei capitali dall’estero, questa volta senza alcuna riduzione dell’imponibile o delle imposte dovute, senza alcuna forma di anonimato ma semplicemente riducendo le sanzioni amministrative.
Nel testo finale presentato in Consiglio dei Ministri n. 46 dello scorso 24 Gennaio, la norma sull’autoriciclaggio era stata espunta. Letta riferì che la nuova fattispecie di reato sarebbe stata introdotta in un altro pacchetto di leggi contro la criminalità. Tuttavia, il fatto sembrò indicare il mancato accordo nella maggioranza. Condizione che, non essendo mutato lo schema di governo con alleanza a centrodestra, si potrebbe presentare tal quale nel momento in cui Renzi dovesse agire con l’urgenza dichiarata. Una situazione simile accadde anche durante il governo Monti, quando il ministro Severino presentò il DdL Anticorruzione. Il provvedimento, anche in quel caso, venne ripulito dalla norma anti-autoriciclaggio. Erano necessari, si disse all’epoca (era il lontano 2012), ulteriori approfondimenti.
La trattazione del Decreto sulla Voluntary Disclosure è iniziata alla Camera lo scorso 11 Febbraio. Le nuove norme hanno suscitato le critiche persino delle Agenzie delle Entrate, nella persona di Antonio Martino, responsabile dell’Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali (Ucifi). Secondo Martino, il decreto è “una tenaglia che nasce monca”, proprio per l’assenza del nuovo reato (Reuters, 24/02/2014). E anche il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, si è augurato che il reato venga al più presto introdotto, “altrimenti mi irrito”, ha detto (Il Sole 24 Ore, 04/02/2014). Dopotutto, l’autoriciclaggio è stato oggetto di uno studio condotto dalla commissione da lui medesimo presieduta, istituita per decreto proprio dal ministro Severino nel 2012.
Parrebbe strano, ma la stessa scelta è stata ripetuta nel 2013. La commissione Greco aveva da pochi mesi chiuso le analisi, che il governo Letta ne istituì un’altra, presieduta stavolta nientemeno che da Nicola Gratteri. Entrambe le commissioni hanno prodotto soluzioni operative chiare, che però sono rimaste lettera morta. Così Gratteri annunciava ad Ottobre 2013 di aver perfezionato delle modifiche normative che comprendevano il 41bis, il voto di scambio ma soprattutto l’autoriciclaggio. Il governo Letta non operava di certo in assenza di informazioni in materia.
In Italia, il reato di autoriciclaggio, ovvero l’attività di occultamento dei proventi dei propri crimini, non è disciplinato dal codice penale, che lo esclude con una clausola (648-bis c.p., primo capoverso). L’autoriciclaggio è inteso quindi come mera conseguenza del reato che lo ha presupposto. Ma esistono ben due Direttive Europee, n. 2005/60/CE e n. 2006/70/CE (l’Europa non è solo burocrazia), una raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale del 2006, le linee guida sulla trasparenza nei pagamenti dell’OECD, pronunce della Banca d’Italia e della Procura Nazionale Antimafia nonché la Convenzione penale sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 (che l’Italia ha ratificato solo nel 2012), che richiederebbero l’adeguamento normativo più volte proposto in questi anni.
Il contributo dato dal legislatore europeo appare evidente nella suddetta Direttiva 2005/60/CE, all’articolo 1, comma 2 lettera b), laddove viene definito che costituiscono riciclaggio l’occultamento o la dissimulazione dei beni provenienti “da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività”. Se quindi da un lato la normativa europea cita espressamente la fattispecie della partecipazione al reato, il 648-bis altrettanto esplicitamente la esclude, come detto, già al primo capoverso: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo […], è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493″.
L’emendamento Civati-Ricchiuti riscrive per intero l’articolo 648-bis con una formulazione non dissimile da quella proposta dal presidente del Senato Pietro Grasso ad inizio Legislatura con il disegno di legge n. 19. Quello che segue è il testo dell’emendamento proposto:
648-bis (Riciclaggio).
E’ punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 5.000 a € 50.000 chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo ovvero compie altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da € 2.000 a € 25.000 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto non colposo per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di una professione ovvero di attività bancaria o finanziaria.
La pena è diminuita fino a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori.
Si applica l’ultimo comma dell’art. 648.
Scrivono i due proponenti che la nuova fattispecie incriminatrice è basata essenzialmente su quattro punti:
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l’estensione della punibilità dell’attuale condotta di riciclaggio anche al concorrente nel reato presupposto, mediante la semplice soppressione della clausola di riserva iniziale;
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la sostituzione dell’attuale circostanza attenuante, secondo cui la pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto per il quale è stabilita pena inferiore a cinque anni, alzando a sei anni tale limite;
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l’inserimento nell’attuale circostanza aggravante di un riferimento anche all’esercizio di attività bancaria e finanziaria;
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l’introduzione di una sostanziale attenuazione di pena, fino a due terzi, per l’autore del delitto che si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato e per evitare conseguenze ulteriori.
L’esame del Decreto Voluntary Disclosure proseguirà martedì 4 Marzo (all’ordine del giorno, le audizioni del Centro Studi del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma). In calendario non è prevista, per ora, alcuna accelerazione dei lavori. Il governo potrebbe scegliere di operare davvero d’urgenza, e ciò lo potremo capire eventualmente dalle parole del relatore Giovanni Sanga, se e quando interverrà durante la seduta. Viceversa, qualora si scegliesse una successiva trattazione in un diverso decreto, si preferirebbe dunque una strada meno veloce: da un lato non si risponderebbe ai dubbi della stessa Agenzia delle Entrate circa l’efficacia della Voluntary Disclosure (ora una tenaglia monca); dall’altro si porrebbero le condizioni per il ripetersi di veti in Consiglio dei Ministri. Che sarebbe poi il clima favorevole ad una nuova commissione di studi.