Ora che la “prova muscolare” con l’Europa si è conclusa, proviamo a tirare due somme, anche per capire se era davvero necessaria, o anche solo opportuna. E cominciamo col ricordare un dato che sembra sparito dall’immaginario collettivo nazionale, e che pure ci ha molto tormentato: il rating finanziario assegnato all’Italia da tre delle quattro agenzie internazionali (solo Moody’s ci tratta leggermente meglio) è BBB (- o +), ovvero al livello della Romania, del Sudafrica, della Colombia. Naturalmente la valutazione dipende principalmente dal debito pubblico, ma si estende a tutto il sistema finanziario. Quindi, la considerazione delle banche italiane nel mondo parte da quel livello tripla B, al quale si aggiunge un altro vizio capitale, che non si sono sognate di correggere nonostante la lezione — ormai pluriennale — della crisi: il nanismo. Basti pensare che di tutto il capitale delle 17 banche quotate in Borsa, l’80% è in capo alle prime due (Intesa-SanPaolo e Unicredit). Di tutte le innumerevoli altre non quotate, capitale e mercato sono “impalpabili” agli occhi del mondo. Ma allora come hanno fatto a reggersi? Semplice: grazie a quella intricata rete di relazioni personali e territoriali, che attraverso la politica, più che la finanza, è in grado di generare comode rendite di posizione per chi, naturalmente, si trova nella posizione giusta. Il problema è scoppiato quando, a furia di riduzione di salari e pensioni, di diffusione della precarietà e della sottooccupazione, il mercato interno si è talmente compresso da non essere più in grado di generare rendite e ricchezza. E il management, inadeguato e spesso colluso con poteri detti “forti”, ha cercato di arrabattarsi pensando che, prima o poi, ‘a nuttata sarebbe passata, o comunque qualche santo (leggi: il contribuente) avrebbe provveduto.
Ma nel frattempo venivano progressivamente introdotte in Europa nuove regole di salvaguardia, a partire proprio dal 2007, di concerto tra BCE e Commissione, concedendo agli Stati di intervenire in soccorso delle proprie banche ancora fino al 2012, e poi basta: la Germania ci ha impiegato il 7% del PIL; noi, stante la limitatissima capacità del bilancio pubblico, siamo riusciti a non far chiudere MPS e niente più.
Poi, i tempi della piena entrata in vigore delle nuove regole sono stati scanditi ed erano di pubblico dominio, ovunque tranne che in Italia, sembrerebbe: o comunque alle banche italiane, tranne le più grandi sotto il diretto controllo della BCE, è stato consentito di andare avanti come se niente fosse dagli organi di direzione politica (MEF, Governo) e di vigilanza (Banca d’Italia, Consob).
Ma è arrivato il momento dei conti, e ci si è accorti che il sistema bancario italiano, con tutti i suoi vizi capitali di cui sopra, stava entrando nel nuovo regime con un fardello complessivo di crediti non esigibili (Non Performing Loans, NPL) di oltre 200 miliardi di euro, per i quali nei loro bilanci aveva messo in conto una svalutazione prudenziale del 50%. In sintesi il problema è che se del valore di quei debiti riusciranno a recuperare meno del 50%, la differenza dovrà venire coperta dal capitale della banca: è evidente che le banche medie, piccole e piccolissime, tutte generalmente sottocapitalizzate, rischiano di andare giù una dopo l’altra come birilli.
Il problema non riguarda solo l’Italia, e poteva essere davvero “mal comune mezzo gaudio”: la BCE, infatti, ha proposto di garantire uno strumento di cartolarizzazione a livello europeo (sostanzialmente dilazionando il rientro di quei debiti, a prezzo del pagamento di interessi che, dato il livello generale dei tassi e il “peso” della garanzia, sarebbero stati relativamente bassi), detto impropriamente bad bank. E’ ovvio che i tempi e i modi del rientro sarebbero stati vigilati dalla stessa BCE, il cui potere di sorveglianza sul sistema finanziario europeo sarebbe sostanzialmente cresciuto.
Quale paese è stato sempre contrario a questa eventualità? La Germania, che avendo però sistemato le sue casse di risparmio è poco coinvolta nella vicenda (anche se le trimestrali di Deutsche Bank forse imporrebbero più prudenza, ma questo è un altro discorso) e non aveva molto titolo a intervenire a favore o contro. Ma ce l’aveva l’Italia, titolo a intervenire, anche contro gli interessi dei suoi stessi operatori economici e finanziari, che avrebbero visto sostanzialmente ridotto il prezzo da pagare in termini di capitale proprio grazie alla garanzia della BCE, resa praticabile e non distorsiva per il fatto di essere applicata in tutto il mercato finanziario dell’Eurozona; e la posizione dell’Italia, che è pur sempre la terza economia dell’Eurozona, avrebbe fatto pendere la bilancia a favore o contro.
E così il nostro Presidente del Consiglio si è inventato la “prova muscolare”, con la sempre più inspiegabile connivenza del Ministro “tecnico” Padoan, ha optato per una bad bank (o, addirittura, più bad banks) nazionale, pretendendo di garantire attraverso il bilancio pubblico per la quasi totalità degli NPL. Ovviamente la disciplina degli aiuti di stato impediva, all’Italia come a tutti, una soluzione di questo tipo e Padoan è tornato a casa a mani praticamente vuote. Le banche italiane, anche le più grandi come Unicredit, MPS e Ubibanca, si ritrovano sole e nude di fronte all’esigenza di raccogliere capitali, alla mercé del mercato, giudice più impietoso di qualunque Commissario europeo. Il bisogno di capitali per se stesse e la necessaria maggiore prudenza le renderà ancora meno propense ad allentare i lacci del credito, nei confronti di un sistema produttivo che la stagnazione del reddito continua a rendere poco solvibile.
Questa “prova muscolare” è servita esclusivamente a lasciare l’Italia più sola in Europa: certo non potremo aspettarci più alcun riguardo dalla BCE, nonostante Draghi. E il Presidente del Consiglio è riuscito a mettere in ridicolo il Governo e in difficoltà il Paese in un colpo solo. Ora andrà dalla Merkel e millanterà qualche grandioso accordo, che la Germania non ci ha mai concesso, non fosse altro perché continua invece a considerarci un concorrente, che ha interesse piuttosto a contenere.
Magari stampa e televisione, con una RAI sempre più “di regime”, proveranno anche a farci credere in qualche furbata ben riuscita dell’ultimo minuto. Ma tranquilli: saranno i mercati a darci l’informazione giusta.