Dovremmo forse ricominciare a parlare dell’uso/abuso che il governo, in primis Renzi, fa dei numeri. Numeri citati come dimostrazione di esser dalla parte della ragione. Numeri che finiscono stampati nei titoli dei giornali, numeri che vengono riferiti dai notiziari: freddi, incontrovertibili, anche perché nessuno nemmeno tenta di verificarli.
Ebbene, lo facciamo noi. Ci diverte, in fin dei conti.
Si parla di Sanità, di tagli alla Sanità. Renzi deve fronteggiare i governatori delle Regioni. Che, al momento, non hanno neanche una guida, essendo Chiamparino il presidente dimissionario. Il presidente del Piemonte ha giust’appunto dichiarato che gli ulteriori tagli alla Sanità metteranno le Regioni non in condizione di garantire i farmaci salvavita. Una dichiarazione pesante da parte di un suo (ex) sodale. Ci sono tutti gli ingredienti per innescare l’indignazione in chi ascolta e Renzi lo sa.
Per tale ragione, poche ore prima del confronto con le Regioni, Renzi sfodera la retorica dell’Uomo di Paglia e dichiara: “È normale che le Regioni vogliano di più, ma abbiamo messo nel bilancio dello Stato un miliardo in più all’anno per la sanità, che ci sembra una bella cifra. Alle Regioni diciamo di spenderli bene”. E poi prosegue:
Lo scorso anno, nel 2014, i fondi stanziati erano 109 miliardi, quest’anno sono 110 e il prossimo saranno 111.
Quindi Renzi si pregia di aver messo a bilancio ben 1 miliardo in più nel 2016. Le Regioni? Si lamentano perché vorrebbero spendere tanto. Troppo. Le Regioni spendono male. Dice lui. Chi ha ragione?
Semplice. Basta leggere le norme. E cominciamo dall’ultima, da quella citata dallo stesso presidente del Consiglio. Stiamo parlando dell’art. 32 comma 14 della Bozza della Legge di Stabilità 2016. L’abbiamo pubblicata su queste pagine in anteprima.
14. Il livello del Finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato come stabilito dall’articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 e dall’articolo 9‑septies, comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, è rideterminato, per l’anno 2016, in 111.000 milioni di euro. Sono sterilizzati gli effetti derivanti dal periodo precedente sugli obiettivi di finanza pubblica delle autonomie speciali.
L’importo è rideterminato rispetto sia alla precedente Legge di Stabilità 2015, ex art. 1 comma 556 L. 190/2014, sia rispetto all’art. 9‑septies, comma 1, del Decreto-legge n. 78/2015. Infatti, lo scorso anno il governo aveva previsto un fabbisogno sanitario nazionale standard più alto, sia per il 2015 che per il 2016. Quelle cifre, contenute nel comma 556 dell’articolo 1, erano frutto dell’accordo fra Stato e Regioni, il Patto Salute 2014–2016, raggiunto nel Luglio dello scorso anno. Un accordo che la ministra Lorenzin commentava così: “la sanità è stata messa in sicurezza per le prossime generazioni”. Il fabbisogno nazionale standard era stato fissato in 109,9 miliardi nel 2014, 112 nel 2015 e 115,4 nel 2016.
Erano così sicuri dell’avvenuta messa in sicurezza tanto che, pochi mesi fa, a Luglio, con il Decreto 78/2015, decidono che “ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica […] il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo Stato, come stabilito dall’articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è ridotto dell’importo di 2.352 milioni di euro a decorrere dal 2015”.
Ricapitolando:
Fabbisogno nazionale std |
2014 |
2015 |
2016 |
L. 190/2014 |
109 |
112 |
115,4 |
DL 78/2015 |
109,6 |
113 |
|
Legge Stabilità 2016 |
111 |
Alla riduzione compresa nel DL 78/2015, fa seguito la riduzione (rideterminazione) contenuta nella Legge di Stabilità. Il fabbisogno standard scende da 113 miliardi a 111. Due miliardi in meno. Non è un taglio? E’ una revisione della previsione di spesa. Di fatto, si smentiscono i patti intercorsi con i governatori solo un anno e mezzo fa. E si spiegano all’opinione pubblica suggerendo che si tratta della manovra opposta. Siamo al di là del ‘cherry picking’ del Ministro Poletti: è un ribaltamento continuo della prospettiva.
Per fortuna, ciò che è scritto rimane. Tipo le leggi.