Usciamo, ascoltiamo le soluzioni, immaginiamo il Paese che manca ai lavoratori, agli insegnanti, ai neolaureati, alle partite iva, agli schiavi a tempo indermeninato con la prospettiva che non arriva a fine mese e un contratto determinatissimo, agli esodati (ce li ricordiamo, gli esodati?), gli antimafiosi, gli imprenditori stremati, i disillusi, i senza speranza e poi anche quelli che di speranze e idee ne hanno di bellissime e rimangono inascoltati.
Stiamo seri. E fieri. Fieri del lavoro di Beatrice Brignone che con i terremotati della sua regione, le Marche, ha un rapporto fatto di pelle, di scatoloni scaricati in mezzo alla neve e le macerie raccolti grazie al cuore dei marchigiani, fieri dell’impegno senza selfie, titoli dei giornali e parole a vuoto. Una parlamentare anche fuori dal Parlamento.
Stiamo fieri di Stefano Catone che mentre molti teorizzano (o cavalcano) i bisogni dei rifugiati in mezzo ai rifugiati lui ci è ritornato davvero. Ancora. Sulla rotta balcanica con un’organizzazione umanitaria sta testimoniando i luoghi dove l’umanità s’è persa. E la dignità.
Stiamo fieri dei compagni di Crotone, infaticabili divulgatori (e difensori) di uno scempio ambientale che grida vendetta (e richiama l’attenzione del Ministro Franceschini) a Capo Colonna, dove la storia sta per essere seppellita dal cemento in nome del turismo secondo il Vangelo di Briatore, quello turbospinto che vorrebbe un’Italia come parco turistico e la bellezza una barbosa complicazione burocratica.
Si fa così la politica. Noi la vogliamo fare così. La politica ha senso se si pratica sul territorio. I lambicchi, le tessere, i congressi permanenti e i politici si sono un’altra cosa: sono il gioco che ha stancato tutti e che ha lasciato aperta al realismo che abbiamo subito fin qui.
Dai, su. Usciamo. C’è un Paese bellissimo da costruire, qui fuori.