Bambini, bambini ovunque. Sono i primi che vedi avvicinandoti a un campo. Sorridono tutti, hanno imparato a riconoscere un volontario come un amico, come qualcuno che porterà attività per trascorrere il tempo in quell’inferno in terra che siamo riusciti a costruire nella nostra occidentalissima e democraticissima
Europa.
Mi vergogno da morire, mi vergogno tutto il tempo. Non faccio che scusarmi. Quei bambini assomigliano tutti ai miei figli, quelli con i colori scuri e gli occhi furbi come Gabo e quelle con gli occhi chiari e i capelli color miele di Greta.
Per un momento, un momento solo, mi attraversa la mente un pensiero criminoso: se avessi portato con me i documenti dei miei figli, potrei portare via due di loro, non se ne accorgerebbe nessuno. Al colpo d’occhio sono uguali ai miei bambini sulla foto di quella stramaledetta carta di identità, che i miei figli possono avere in due minuti e loro no.
Rifuggo il pensiero, ma da allora mi tormenta la domanda senza risposta. Perché io e i miei figli possiamo attraversare il mondo e Aisha che ha 24 anni e i suoi bambini sono bloccati qui? Così come Aida, Esel e tutte le donne che sono in questo inferno.
Perché hanno pagato più di 3000 euro per essere imprigionati in un campo senza alcun futuro? Chi mi garantisce che tra quelle migliaia di bambini visti in una sola giornata non ci siano possibili medici o insegnanti o artisti o politici che potrebbero trovare molecole, soluzioni, opere che rivoluzionerebbero la medicina, l’istruzione, l’arte nel mondo? Quanto questi campi stanno togliendo a loro e anche a tutti noi?
Ho stampato centinaia di baci, ho stretto piccoli corpi in abbracci che non volevano finire mai, ho ascoltato storie che non ho neanche la forza di denunciare.
Qua è l’inferno vero. Tutti dovrebbero venire qua, tutti. Perché nessuno può parlare se non vede il viso di Mohamed che ha 7 anni e tantissime cicatrici in volto, il sorriso brillante nel viso sporchissimo di Asmae di 2 anni, gli occhi di Aia che hanno visto le bombe e non dorme più. I denti neri di Mosshud che ha 26 anni e ne dimostra 56. Gli occhi orgogliosi delle madri che ti mostrano la loro tenda come la più bella delle case e in effetti lo sono per la dignità che traspirano.
Tutti dovrebbero venire qua. E poi parlare. E poi legiferare. E poi fare affari e slogan elettorali sulla pelle di queste persone, se ancora se la sentono. Se ancora si sentono degni di stare al mondo. È una cosa enorme quella che sta succedendo qua, enorme. Ne pagheremo le spese tutti.
E non basterà chiudersi in casa o alzare un altro muro o trovare l’ennesimo slogan elettorale.
Beatrice Brignone è a Salonicco con Hope for Children, per distribuire il carico di aiuti e beni di prima necessità raccolti con i comitati di Possibile delle Marche.