La categoria dei rider, in questi ultimi anni, è stata in grado di diventare un simbolo della lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori.
Nonostante la scarsa consistenza numerica (30.000 lavoratori su tutto il territorio nazionale), attraverso un’auto-organizzazione compatta e senza paura di alzare il tono del conflitto, questi giovani sono riusciti a portare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle proprie condizioni di lavoro.
Accade così che il Governo decida di occuparsi specificamente della “questione rider”, promuovendo prima un tavolo di trattativa tra Assodelivery e CGIL, CISL e UIL (2018) e poi intervenendo direttamente con un decreto-legge (2019).
La L. 128/2019 prevede infatti che “i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore” debbano essere retribuiti su base oraria prendendo come parametro i CCNL affini (ossia logistica e trasporti).
La retribuzione dei fattorini “a consegna”, in deroga all’obbligo di cui sopra, viene ammessa solamente se stabilita da contratti collettivi nazionali stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Si tratta un minimo livello di tutela – posto che i fattorini restano inquadrati come lavori autonomi – eppure le piattaforme del food delivery si guardano bene dall’applicarlo, in una rocambolesca fuga dalla legge.
Per cercare di sfruttare la “finestra” che consente di tornare a un’applicazione “legale” del compenso a cottimo, quindi, viene avviata una trattativa con il sindacato dell’UGL – parallela a quella con i sindacati confederali sollecitata dal Ministero del Lavoro — che sfocia nell’approvazione di un “CCNL rider” nel settembre 2020.
Questo contratto collettivo, il “primo CCNL rider in Europa” nelle trionfalistiche parole dell’A.D. di Assodelivery, Matteo Sarzana, prevede infatti una paga oraria di 10 € l’ora, ma allo stesso tempo considera come “tempo di lavoro” solamente quello impiegato per portare a termine la consegna, e non quello passato in attesa davanti al ristorante tra un ordine e l’altro.
Siamo di fronte a un’operazione di scorrettezza tale da portare a proteste da parte non solo dei fattorini e delle sigle sindacali confederali, ma del Ministero del Lavoro stesso che con una propria circolare “boccia” il contratto collettivo, con un’operazione dagli effetti nulli sul piano legale ma dall’enorme peso politico.
Nonostante ciò, le piattaforme procedono speditamente a comunicare l’applicazione del nuovo CCNL rider ai propri fattorini, dando il benservito a coloro che si rifiutano di accettare le nuove condizioni.
Questo gigantesco e raffazzonato tentativo di maquillage dello sfruttamento ha incontrato finalmente il suo destino naturale con la sentenza 30/06/2021 del Tribunale di Bologna, che per prima conferisce portata legale alle (piuttosto ovvie) osservazioni già fatte dal Ministero del Lavoro.
La prima verità accertata quindi è che il “CCNL Rider”, stipulato dalla sola UGL, non è un contratto maggiormente rappresentativo, e pertanto non è idoneo a derogare alla legge.
La seconda è che l’interruzione dei contratti di lavoro con quei rider che si sono rifiutati di vedersi applicate le sfavorevoli condizioni del “CCNL rider” costituisce condotta antisindacale, e pertanto costituisce licenziamento discriminatorio da sanzionare con la reintegrazione dei lavoratori.
Il percorso verso una giusta paga per la categoria però è tutt’altro che concluso. In piena continuità con le condotte adottate sin qui, per il momento Assodelivery infatti ha proceduto alla disapplicazione del “CCNL rider” solamente nella circoscrizione del tribunale di Bologna.
Occorre aggiungere che il rivoluzionario CCNL ribadisce lo status di lavoratori autonomi a 360 gradi dei rider, facendosi beffe della Legge 128/2019, che prevede che i committenti dei lavoratori impegnati nelle consegne debbano garantire, “a propria cura e spese”, il rispetto del D.Lgs. 81/08, testo unico della sicurezza sul lavoro. Il CCNL fa rientrare i rapporti tra le piattaforme di delivery e i rider nell’alveo delle tutele previste per contratti di appalto, d’opera o di somministrazione, facendo sì che gli oneri a carica del committente tendano allo zero.
Parrebbe pertanto una gentile concessione delle piattaforme la fornitura di indumenti ad alta visibilità per tutti i rider e caschi per i rider che effettuano consegne mediante la propria bicicletta, con tanto di possibilità di sostituzione del casco dopo 4.000 consegne e dell’indumento ad alta visibilità dopo 1.500 consegne. Parrebbe, appunto. Se non fosse che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha di recente appurato la natura di subordinazione dei rider facenti capo a 4 piattaforme di delivery, sancendo “l’applicazione ai riders del trattamento retributivo del lavoratore dipendente, del conseguente inquadramento previdenziale e, soprattutto, la piena tutela in materia di salute e sicurezza”.
Le rivendicazioni portate avanti con tenacia devono essere di ispirazione per tutte quelle altre categorie di lavoratori ingabbiate nel falso lavoro autonomo, e devono dare slancio a una battaglia della sinistra per un superamento di una forma contrattuale come la “collaborazione coordinata e continuativa” che – nonostante i ripetuti correttivi legislativi che si susseguono ormai da decenni – continua a consentire un utilizzo fraudolento del lavoro dipendente, sotto la copertura legale posticcia della “parasubordinazione” che, come insegnano i rider, è solo un altro modo di dire caporalato.
Rocco Casciani
Laura Colombo
Giusta Paga — Lavoro Possibile