In un momento politico caratterizzato da profondi passi indietro, dalla banalizzazione dei diritti conquistati dai più vulnerabili, da discorsi misogini, sessisti e colmi di pregiudizi, dalla valorizzazione del possedere al di sopra dell’essere, da accordi milionari in nome del potere, da minacce di morte contro quelli che hanno alzato la bandiera della giustizia sociale, è imprescindibile il rafforzamento del movimento femminista in Brasile.
La violenza contro la donna – sia fisica che psicologica – è un fenomeno presente ormai da secoli nel paese. Durante tutto il periodo coloniale, imperiale e gran parte del periodo repubblicano, non c’era nessuna legge specifica per la sicurezza del genere femminile. Anche dopo la creazione di alcune forme di protezione, lo Stato continuava a non garantire l’effettiva sicurezza della donna.
Maria da Penha, una donna violentata dal marito per 23 anni e diventata tetraplegica, presentò, all’epoca dei fatti, varie denunce alla polizia e nulla fu fatto a riguardo. Davanti all’indifferenza dello Stato, prese la decisione di andare fino a Washington e attraverso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, lo Stato Brasiliano fu processato e dovette prendere delle misure politico-giuridiche per non subire sanzioni internazionali, culminate nella creazione della Legge Maria da Penha, con l’obbiettivo di proteggere la donna contro la violenza domestica.
Nonostante ciò, il Brasile è il quinto paese al mondo per morti violente di donne, in un ranking di 83 nazioni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il numero di omicidi arriva a 4,8 ogni 100 mila donne. La situazione è ancora più grave e allarmante contro le donne nere. La maggior parte delle motivazioni di questi crimini sono l’odio e il sentimento di perdita di controllo e di possesso sulla compagna, motivazioni comuni in tutte le società caratterizzate dal maschilismo.
La violenza morale – d’impronta sessuale – è una pratica che diventa sempre più comune nel mondo virtuale. L’aggressore diffonde foto e video di contenuto sessuale come forma di vendicarsi, generalmente della fine della relazione. Tale atto comporta varie conseguenze per la vittima. Oltre all’esposizione sociale, all’umiliazione e alla vergogna, sono stati riportati vari casi di suicidio e altri in cui hanno subito aggressioni fisiche e molestie sessuali dopo di essere state esposte sui social.
Un altro fattore importante da considerare è il numero di donne che occupano cariche politiche nel paese. Secondo l’Inter-Parliamentary Union, il Brasile è uno dei peggiori stati dal punto di vista della rappresentatività politica femminile. Sebbene esistano le quote elettorali, la percentuale di donne al potere rimane quasi lo stesso dal 1940, il che genera conseguenze che si riflettono soprattutto nell’ideare, nella realizzazione ed esecuzione di politiche che non considerino le questioni femminili.
Nell’attuale governo, tra 22 ministeri, solo 2 sono occupati da donne, che, tuttavia, non garantiscono la qualità del dibattito sui diritti femminili. Damares Alves, che occupa la poltrona del Ministero della Donna, Famiglia e Diritti Umani, sostiene che gli uomini debbano vestirsi in azzurro e le donne in rosa e che queste ultime debbano rimanere a casa, per educare i figli, mentre l’uomo lavora fuori, rappresentando un ritorno al passato, una mancanza di rispetto per tutte le lotte e le conquiste femminili.
Invece, le donne che difendono temi importanti sulle questioni legate all’uguaglianza di genere, al razzismo, alla vulnerabilità sociale, alla comunità LGBT, sono costantemente zittite, come la nostra Marielle Franco, Consigliera Comunale del PSOL di Rio de Janeiro, brutalmente assassinata nel 2018, o Márcia Tiburi, scrittrice e professoressa di Filosofia, che ha dovuto lasciare il paese a causa delle costanti minacce che subiva per la sua ideologia politica. Un altro esempio significativo è stato l’impeachment della ex-Presidentessa Dilma Roussef, senza che fosse provato alcunché contro di lei e la cui condotta estremamente onesta mai è potuta essere contestata. Nonostante ciò, con “tenebrose transizioni”, è stata destituita dal suo incarico da un Congresso profondamente misogino.
Di fronte a questo complesso quadro, diventa sempre più urgente un’organizzazione femminile – e femminista -, che non si sottometta alle nuove norme che i governi di estrema destra desiderino implementare, che non lasci cadere nell’oblio le effettive conquiste del genere e che miri a occupare sempre più gli spazi della politica nazionale, collaborando per l’equivalenza delle condizioni di parità tra uomo e donna nella società. Non smetteremo mai di lottare!
* “Il femminicidio è l’istanza ultima di controllo sulla donna da parte dell’uomo: il controllo di vita e di morte. Si esprime con l’affermazione senza limiti del possesso, considerando la donna un oggetto, quando a commetterlo è il compagno o l’ex compagno; come assoggettamento dell’intimità e della sessualità della donna, con la mutilazione o lo sfiguramento del suo corpo; come avviliemento della dignità della donna, sottomettendola a tortura o a un trattamento crudele o degradante.”
Commisione Parlamentare Mista d’Inchiesta sulla Violenza contro la Donna (Relazione Finale, CPMI-VCM, 2013)