Avevamo già scritto che una promozione di Nino Di Matteo alla Procura Nazionale Antimafia adducendo “motivi di sicurezza” o peggio ancora una sorta di “risarcimento” fosse irrispettoso per la storia e l’etica di un magistrato che ha dovuto sopportare molto di più di quanto richiederebbe la sua professione. Esistono limiti di solidarietà (e protezione) che non possono essere superati in nome di discordanze politiche o giudiziarie e Di Matteo (come altri suoi colleghi delle Procure siciliane) ha dovuto ingoiare una distrazione scientificamente inferta da parte della politica che non è degna di un Paese unito nella lotta alle mafie.
Ora il CSM ha dato il via libera al trasferimento di Di Matteo alla Procura Nazionale Antimafia guidata da Franco Roberti per uno dei cinque posti liberi in quell’ufficio e noi non possiamo che essere contenti della decisione (presa all’unanimità) che restituisce i meriti a Di Matteo. Restituisce, attenzione, ma non risarcisce: in una democrazia sana e senza nulla da nascondere il processo “trattativa” sui cui il magistrato è impegnato in questi mesi dovrebbe aprire una serena discussione sulle responsabilità morali, oltre che giudiziarie, del nostro passato recente. Farsi carico, appunto, oltre che trasferire.