Capi di abbigliamento invenduti: perché e come vietarne la distruzione

L'industria tessile si colloca al secondo posto come settore più inquinante ed è pertanto essenziale contenere gli sprechi. Negli ultimi anni le aziende che producono quella che viene chiamata fast fashion, abbigliamento di capi a basso costo, ha basato il suo sistema di vendita sulla continua proposta di nuove collezioni per invogliare i clienti ad acquistare sempre di più. Il problema è che non tutto viene venduto e le alte rimanenze devono quindi essere smaltite.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]L’indu­stria tes­si­le si col­lo­ca al secon­do posto come set­to­re più inqui­nan­te ed è per­tan­to essen­zia­le con­te­ne­re gli spre­chi. Negli ulti­mi anni le azien­de che pro­du­co­no quel­la che vie­ne chia­ma­ta fast fashion, abbi­glia­men­to di capi a bas­so costo, ha basa­to il suo siste­ma di ven­di­ta sul­la con­ti­nua pro­po­sta di nuo­ve col­le­zio­ni per invo­glia­re i clien­ti ad acqui­sta­re sem­pre di più. Il pro­ble­ma è che non tut­to vie­ne ven­du­to e le alte rima­nen­ze devo­no quin­di esse­re smaltite.

È il caso di H&M che ha accu­mu­la­to una quan­ti­tà di abi­ti per milio­ni di euro di cui una par­te è sta­ta ince­ne­ri­ta. Anche le azien­de di alta moda han­no pro­ble­mi di smal­ti­men­to di capi inven­du­ti e in que­sto caso per pre­ser­va­re l’e­sclu­si­vi­tà dei pro­pri pro­dot­ti ed il valo­re del mar­chio pre­fe­ri­sco­no distrug­ger­li. Bur­ber­ry ha bru­cia­to le pro­prie rima­nen­ze per un valo­re di ben 32 milio­ni di euro.

Per con­tra­sta­re que­sto feno­me­no che incen­ti­va l’uso di risor­se e la loro rapi­da distru­zio­ne e immis­sio­ne in atmo­sfe­ra di gas cli­mal­te­ran­ti, il gover­no fran­ce­se sta met­ten­do a pun­to una leg­ge ad hoc con l’intenzione di vie­ta­re seve­ra­men­te la distru­zio­ne di indu­men­ti inven­du­ti pro­ve­nien­ti dagli eser­ci­zi commerciali.

L’i­ni­zia­ti­va era par­ti­ta quan­do il Mini­ste­ro del­la tran­si­zio­ne eco­lo­gi­ca era pre­sie­du­to dal mini­stro Edouard Phi­lip­pe (pri­ma cioè del­lo ‘scan­da­lo ara­go­ste’ scop­pia­to lo scor­so luglio). Ver­rà appro­va­ta qua­si cer­ta­men­te entro la fine del 2019 e por­rà il divie­to asso­lu­to di distrug­ge­re i capi inven­du­ti o in ecce­den­za. Alle case di moda sarà per­ciò proi­bi­to pra­ti­ca­re que­sta atti­vi­tà ambien­tal­men­te ed eti­ca­men­te scor­ret­ta. È un pri­mo pas­so dal pun­to di vista legi­sla­ti­vo che però andreb­be este­so a tut­ta l’Unione euro­pea. L’Ue è fer­ma al 2015 e al Pia­no d’a­zio­ne euro­peo per l’ab­bi­glia­men­to (ECAP — Euro­pean Clo­thing Action Plan), che si inse­ri­sce nel­lo sche­ma dell’Economia cir­co­la­re anco­ra ben lun­gi dal dive­ni­re effet­ti­vo. Il pro­get­to pre­ve­de otto aree d’a­zio­ne: pro­get­ta­zio­ne, pro­du­zio­ne, con­su­mo, coin­vol­gi­men­to con­su­ma­to­ri, appal­ti pub­bli­ci, rac­col­ta, rici­clag­gio e ritrat­ta­men­to soste­ni­bi­li. Il pia­no è este­so sino al dicem­bre 2019, per il segui­to non v’è cer­tez­za.

Limi­ta­re lo smal­ti­men­to dei capi di abbi­glia­men­to non deve esse­re solo com­pi­to dei gover­ni, ma deve pas­sa­re cul­tu­ral­men­te nel­le scel­te dei con­su­ma­to­ri che devo­no acqui­sta­re con­sa­pe­vol­men­te  al fine dupli­ce di sal­va­guar­da­re l’am­bien­te e rispet­ta­re i dirit­ti dei lavo­ra­to­ri di quei pae­si lon­ta­ni da noi e dai nostri occhi.

Ricor­de­re­te bene cosa accad­de il 24 apri­le 2013 a Rana Pla­za quan­do crol­lò il palaz­zo sim­bo­lo del­la fast fashion: tra le mace­rie vi era­no lavo­ra­tri­ci e lavo­ra­to­ri, mano­do­pe­ra a bas­so costo tenu­ta ai limi­ti del­la schia­vi­tù, chiu­sa in loca­li fati­scen­ti sen­za alcun tipo di tute­la inten­ta a con­fe­zio­na­re abi­ti eco­no­mi­ci per il mon­do occi­den­ta­le. Mori­ro­no 1134 per­so­ne sot­to quei detri­ti dove si pro­du­ce­va­no a rit­mo ser­ra­to i capi per le cate­ne di H&M e Primark.

Il disa­stro è sta­to pre­sto dimen­ti­ca­to, con­su­mi­smo e razio­na­li­tà non van­no sem­pre insie­me. Quan­do acqui­stia­mo un capo a bas­sis­si­mo prez­zo, l’i­dea di aver fat­to un buon affa­re non por­ta mai a chie­der­si qua­le sia il costo rea­le. Ma la real­tà è che non è un buon affa­re: trop­pi capi di bas­sa qua­li­tà e soste­ni­bi­li­tà ven­go­no pro­dot­ti, com­pra­ti e but­ta­ti ogni anno e ognu­na del­le tre azio­ni è dan­no­sa per qual­cu­no. Trop­pe per­so­ne ven­go­no sfrut­ta­te e rischia­no la vita per le dina­mi­che ambien­ta­li in cui sono costret­te a lavo­ra­re. Sog­get­te a espo­si­zio­ne chi­mi­ca sen­za alcu­na cau­te­la, a loro vol­ta diven­ta­no vit­ti­me dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua spe­cie se vivo­no in pros­si­mi­tà degli sta­bi­li­men­ti di pro­du­zio­ne. Que­sto è il siste­ma che ha gene­ra­to la cre­sci­ta degli ulti­mi 15 anni: oggi una per­so­na com­pra il 60% in più di abbi­glia­men­to rispet­to all’inizio degli anni 2000. Non è que­sta la via per garan­ti­re pro­dot­ti a bas­so costo per lar­ghe fasce di popo­la­zio­ne. La ragio­ne è che incen­ti­va lo spre­co. Gli abi­ti sono fat­ti per dura­re poco, è una sor­ta di obso­le­scen­za pro­gram­ma­ta che non ha ragion d’essere.

Dob­bia­mo riflet­te­re su qua­le sia la nostra par­te: l’ac­qui­sto com­pul­si­vo di abi­ti che non ser­vo­no fa but­ta­re sol­di a noi con­su­ma­to­ri e lo smal­ti­men­to del tes­si­le è sem­pre più dan­no­so per l’am­bien­te. I capi sono pro­dot­ti pre­va­len­te­men­te con fibre sin­te­ti­che che diven­ta­no un rifiu­to mol­to inqui­nan­te e dif­fi­cil­men­te rici­cla­bi­le. Oltre alle ini­zia­ti­ve di carat­te­re legi­sla­ti­vo, pos­sia­mo — anzi, dob­bia­mo — com­pra­re meno vesti­ti, far­li dura­re di più e svi­lup­pa­re mag­gio­re coscien­za nel­le nostre scel­te ver­so un abbi­glia­men­to più sostenibile.

Mir­co Zani­nel­lo (Pos­si­bi­le Novara)[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

AIUTACI a scrivere altri articoli come quello che hai appena letto con una donazione e con il 2x1000 nella dichiarazione dei redditi aggiungendo il codice S36 nell'apposito riquadro dedicato ai partiti politici.

Se ancora non la ricevi, puoi registrarti alla nostra newsletter.
Partecipa anche tu!

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Congresso 2024: regolamento congressuale

Il con­gres­so 2024 di Pos­si­bi­le si apre oggi 5 apri­le: dif­fon­dia­mo in alle­ga­to il rego­la­men­to con­gres­sua­le ela­bo­ra­to dal Comi­ta­to Organizzativo.

Il salario. Minimo, indispensabile. Una proposta di legge possibile.

Già nel 2018 Pos­si­bi­le ha pre­sen­ta­to una pro­po­sta di leg­ge sul sala­rio mini­mo. In quel­la pro­po­sta, l’introduzione di un sala­rio mini­mo lega­le, che rico­no­sces­se ai mini­mi tabel­la­ri un valo­re lega­le erga omnes quan­do que­sti fos­se­ro al di sopra del­la soglia sta­bi­li­ta, for­ni­va una inno­va­ti­va inter­pre­ta­zio­ne del­lo stru­men­to, sino a quel tem­po bloc­ca­to dal timo­re di ero­de­re pote­re con­trat­tua­le ai sin­da­ca­ti. Il testo del 2018 è sta­to riscrit­to e miglio­ra­to in alcu­ni dispo­si­ti­vi ed è pron­to per diven­ta­re una pro­po­sta di leg­ge di ini­zia­ti­va popolare.

500.000 firme per la cannabis: la politica si è piantata? Noi siamo per piantarla e mobilitarci.

500.000 fir­me per toglie­re risor­se e giro d’affari alle mafie, per garan­ti­re la qua­li­tà e la sicu­rez­za di cosa vie­ne ven­du­to e con­su­ma­to, per met­te­re la paro­la fine a una cri­mi­na­liz­za­zio­ne e a un proi­bi­zio­ni­smo che non han­no por­ta­to a nes­sun risul­ta­to. La can­na­bis non è una que­stio­ne secon­da­ria o risi­bi­le, ma un tema serio che riguar­da milio­ni di italiani.

Possibile per il Referendum sulla Cannabis

La can­na­bis riguar­da 5 milio­ni di con­su­ma­to­ri, secon­do alcu­ni addi­rit­tu­ra 6, mol­ti dei qua­li sono con­su­ma­to­ri di lun­go cor­so che ne fan­no un uso mol­to con­sa­pe­vo­le, non peri­co­lo­so per la società.
Pre­pa­ra­te lo SPID! Sarà una cam­pa­gna bre­vis­si­ma, dif­fi­ci­le, per cui ser­vi­rà tut­to il vostro aiu­to. Ma si può fare. Ed è giu­sto provarci.

Corridoi umanitari per chi fugge dall’Afghanistan, senza perdere tempo o fare propaganda

La prio­ri­tà deve esse­re met­te­re al sicu­ro le per­so­ne e non può esse­re mes­sa in discus­sio­ne da rim­pal­li tra pae­si euro­pei. Il dirit­to d’asilo è un dirit­to che in nes­sun caso può esse­re sot­to­po­sto a “vin­co­li quan­ti­ta­ti­vi”. Ser­vo­no cor­ri­doi uma­ni­ta­ri, e cioè vie d’accesso sicu­re, lega­li, tra­spa­ren­ti attra­ver­so cui eva­cua­re più per­so­ne possibili. 

L’indipendenza delle persone con disabilità passa (anche) dall’indipendenza economica

È la Gior­na­ta Inter­na­zio­na­le del­le Per­so­ne con Disa­bi­li­tà, e anco­ra una vol­ta riba­dia­mo quan­to sia urgen­te e neces­sa­rio un cam­bia­men­to socia­le e cul­tu­ra­le per la pie­na indi­pen­den­za di tut­te e tut­ti. C’è tan­to da fare, dal­la revi­sio­ne del­le pen­sio­ni di inva­li­di­tà a un pia­no per l’eliminazione del­le bar­rie­re archi­tet­to­ni­che, pas­san­do per il tabù — da abbat­te­re al più pre­sto — sull’assistenza ses­sua­le. Una for­ma fon­da­men­ta­le di auto­no­mia è quel­la economica.