Ieri sera è arrivata la notizia che auspicavamo di leggere: il cammino — che sembrava inesorabile — del costruendo Marine Park Village a Scifo si è fermato.
E’ andato a sbattere, un’altra volta, contro i sigilli apposti dalla Procura di Crotone con un decreto urgente di sequestro preventivo del cantiere. I lavori, nelle ultime settimane, complice anche il baccano mediatico e istituzionale (con un sopralluogo dello stesso Civati, preceduto da un’interrogazione parlamentare) che abbiamo fatto, avevano subito una quanto meno sospetta accelerazione. E invece è arrivato il “pit stop” che ci auguriamo sia un definitivo “game over”. Volevano fare presto, prestissimo. Così che, forse, si potesse dire “ormai, non si può far più nulla”.
Pare che mirasse a questo scopo anche lo stesso Sovrintendente, che in una recente informativa al Ministero dei Beni culturali scriveva (forse per sostenere l’inevitabilità dell’abuso) che “tutti i bungalow erano ormai stati realizzati”, quando invece soltanto uno di questi risultava parzialmente costruito, quale riparo per gli attrezzi del cantiere. Falso ideologico in atto pubblico. Lo inquadrano così i magistrati inquirenti ponendo il reato a carico del Sovrintendente di Crotone.
Nel provvedimento giudiziario, Marine Park Village non sarebbe altro che una lottizzazione abusiva in un’area sottoposta a triplice vincolo paesaggistico e archeologico, di cui è la stessa Procura della Repubblica a ricordare la “struggente bellezza rimasta fino ad oggi intatta e identica a quella che gli antichi greci scelsero come luogo di fondazione di Kroton”.
I reati ipotizzati non si limitano alla violazione di norme urbanistiche e paesaggistiche ma si estenderebbero a condotte di abuso d’ufficio dei pubblici amministratori che a vario titolo sono intervenuti, o non intervenuti, nella vicenda delle autorizzazioni rilasciate ai fratelli Scalise per la realizzazione di un agriturismo che di fatto è un vero e proprio villaggio turistico.
Differenza non di poco conto per valutare le circostanze di reato la fa la scelleratezza nel rilascio di concessioni e nulla osta e persino per quantificare i danni fin qui perpetrati.
“Una rapina!”, l’ha definita così il dottore Capoccia, Procuratore della Repubblica a Crotone. Ed è esattamente così che l’abbiamo vissuta noi fino a ieri. Un tentativo, ancora lontano dal definirsi scongiurato del tutto, di depauperare non solo la storia e l’ambiente, ma anche la cultura e l’identità di un intero Paese. Il tutto, nel nome di un progetto “turistico” che non può certo considerarsi compatibile con una visione ragionevole e intelligente di quella che è la reale potenzialità dei luoghi, e che non tiene affatto conto (un po’ strano per degli imprenditori avveduti) dell’esistenza di infrastrutture non adeguate nemmeno per i residenti (figuriamoci per soddisfare i clienti dei resort di lusso). E che non tiene conto, ma per questo potremmo attribuire miopia alla politica che i processi li deve anticipare e favorire, del fatto che se c’è un settore del turismo che continua a crescere è esattamente quello di chi va alla ricerca di luoghi rari, di chi trova soddisfazione nella cultura e nella storia dei territori , nell’enogastronomia e nella bellezza, piuttosto che nel cemento di una piscina di 1000 mq e profonda 4 metri e mezzo. Neanche dovessero farci le olimpiadi!
Durante gli Stati Generali ho ricordato alcune parole di Giuseppe Civati e mi sento di ribadirle anche ora: bisogna insistere sempre su quello che si ritiene giusto.